CLOVERFIELD – Matt Reeves
Rob Hawkins riesce ad ottenere un incarico di alto livello dalla ditta per cui lavora ma la contropartita è il trasferimento in Giappone. Il fratello Jason, con la fidanzata Lily e Hud, il migliore amico di Rob, organizzano una festa a sorpresa la notte della vigilia della partenza.
Armato di videocamera, Hud raccoglie messaggi di addio rilasciati da tutti gli amici presenti alla festa, compresa Beth di cui Rob è innamorato ma che ha lasciato allontanare proprio a causa dell’imminente distacco. E’ notte a Manhattan, Beth ha appena lasciato la festa dopo una discussione con Rob che siede disperato sul balcone col fratello e Hud. Una scossa impetuosa fa tremare la terra mentre il riverbero di un roco urlo animalesco squarcia l’aria ed un black out oscura la città. I partecipanti alla festa si catapultano sul terrazzo in tempo per vedere le prime esplosioni devastare interi grattacieli e la gente correre per strada, mentre la testa della statua della libertà sradicata viene scagliata lungo la strada e il caos dilaga.
Cloverfield è stato concepito con un battage pubblicitario alle spalle che ne ha fatto da miasma, innumerevoli sono stati i rumors gravitanti intorno alla pellicola, le cause chela Paramount minacciava di intentare per qualsiasi rivelazione in anteprima, le sensazionali ipotesi (volutamente) lasciate trapelare: dalla presenza di una creatura proveniente dall’immaginario orrorifico di Lovecraft, all’adattamento cinematografico del robot Voltron, sino ad un altro capitolo di Godzilla.
Era dai tempi di The Blair Witch Project che non veniva orchestrata una tale pantomima utilizzando le potenzialità del web (e non solo). Le premesse portavano a inglobare il film nel filone delle attese spasmodiche deluse da pellicole fumose e inconsistenti, ma la presenza di quel geniaccio di J.J. Abrams (regista di Mission Impossibile 3 e, specialmente, creatore dei serial tv Lost e Alias) lasciava qualche fronte aperto al dubbio, alla curiosità.
Ma alla fin fine il film è riuscito o no? La risposta è talmente personale che ho deciso di porre riparo dietro un’analisi il più possibile oggettiva, tuttavia chi non volesse rovinarsi la sorpresa eviti di leggere il seguito della recensione. Parlare male o bene del film è troppo semplice proprio perché gli elementi comodamente criticabili o, egualmente, osannabili si sprecano.
Partiamo dalla decisione di girarlo con la cosiddetta hand-held camera, cioè con la videocamera digitale utilizzata senza dolly, né alcun tipo di sostegno, letteralmente tenuta in mano (dal personaggio Hud). Sicuramente non è un’invenzione né una novità eclatante (ricordiamo il già citato The Blair Witch Project o Rec), oltretutto costringe lo spettatore a lottare contro un senso di vertigine e nausea costanti, distogliendolo alle volte dalla partecipazione agli eventi narrati, tale è il senso di fastidio. Tuttavia l’idea di realizzare un monster-movie normalmente prodotto con un dispendio di mezzi immane (e risultati non propriamente degni, Godzilla di Roland Emmerich giusto per citarne uno) con tale tecnica è geniale. L’immedesimazione col gruppo di ragazzi in fuga, la foga e la disperazione trasmessi sarebbero stati impossibili da ricreare in altro modo con tale carica drammatica. Osservare gli avvenimenti da terra, senza riprese aeree o inquadrature arzigogolate lancia un punto di vista inusuale e, nei limiti della sci-fi, credibile.
Questa visuale che catapulta lo spettatore dentro lo schermo e che lo forza a veder distruggere Manhattan dal basso nel contempo dischiude un nuovo divario. Centrare l’attenzione su dei comuni cittadini comporta l’impossibilità di ricevere informazioni su ciò che sta accadendo in quanto il cataclisma provocato dalla creatura taglia ogni via di comunicazione ed isola i personaggi nella loro inconsapevolezza. Questo completa l’immedesimazione nella vicenda umana che dipinge il gruppo di ragazzi come vittime di una forza sconosciuta, proponendo nuovamente il terrore dell’11 Settembre nel momento dello schianto degli aerei sulle torri gemelle, ma autorizza lo spettatore più smaliziato a lamentarsi per i risvolti della trama non rivelati. Ovviamente ciò ha reso anche più semplice la stesura della sceneggiatura, pur sapendo il rischio a cui si andava incontro.
Altro punto chiave quello della resa del mostro. Cloverfield inizia mostrando poco di esso, lascia intravedere propaggini di immani dimensioni in un gioco di luci e ombre che ben rende il terrore dell’ignoto. A metà pellicola si decide di iniziare a palesare la creatura disegnata da Neville Page tenendola ancora lievemente velata dall’oscurità della notte. Il gigantesco rettile ibrido, come prevedibile, fallisce proprio a causa dei limiti della resa digitale, d’altronde spaventare il pubblico di oggi con una bestia pixellosa non è semplice. Non parliamo dei mostri che vengono rilasciati dal suo corpo, identici a quelli covati dagli Alien immaginati da Giger, utili soltanto per espandere il terreno di lotta in spazi angusti come la tromba delle scale o i tunnel sotterranei. Inutile dire che quando l’essere è mostrato in pieno giorno la credibilità crolla definitivamente a picco.
Già annunciata la preparazione di un seguito dopo gli incassi altisonanti che hanno convintola Paramount senza particolari remore a rimettere tutto nelle mani del regista Reeves.