CAPRICORN – Giovanni Bufalini
Un uomo ha intrappolato la sua vittima, una giovane ragazza, in un magazzino. Altrove una band suona nella polvere. Il killer, col viso coperto da una rozza maschera rappresentante un panda, sta per uccidere la ragazza terrorizzata. La musica incalza prepotente, l’uomo è scosso da essa, ha una crisi di coscienza si rende conto di quanto sia orribile quello che sta facendo …
La ragazza, interpretata da Federica Pulvirenti, è libera mentre l’uomo raccoglie i suoi strumenti di tortura e li deposita ai piedi della band, inginocchiandosi in profonda costrizione, pentito della mostruosità dei suoi atti.
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Originale e anticonformista l’idea di dare un significato simbolico al metal che diventa strumento grazie al quale si riabilitano i cuori più oscuri. In poco più di quattro minuti assistiamo ad una vera e propria rigenerazione.
Il video è stato diretto da Giovanni Bufalini per il primo clip degli 1NE DAY, gruppo che si sta facendo strada a livello internazionale e che sta ottenendo un certo favore dal pubblico. Il regista ha utilizzato la Red One Camera, il piccolo gioiellino che dal 2006 continua ad essere la preferita dai registi grazie all’alta definizione e alla qualità digitale.
Come già in precedenza ha fatto, Bufalini ha volutamente donato al video un gusto retrò, seguendo gli schemi dei gruppi metal e soprattutto degli horror americani tipici degli anni ’80, periodo con cui sembra identificarsi maggiormente. Anche il look dei cantanti, completamente dipinti, e le loro movenze richiamano molti gruppi rock di quegli anni. Il gruppo dichiara espressamente di suonare nu-core, ma resta forte l’ influenza di gruppi come gli Snapcase dei primissimi anni ’90 e gli Steptone (che a loro volta seguivano la tradizione dei grossi gruppi metal come Metallica e Sepultura).
Nel video si susseguono scene di spazi aperti e assolati su cui si spande la musica, alternati a scene girate in uno spazio chiuso, cupo, angosciante, claustrofobico, di cui ci sembra di poter sentire il tanfo causato dalle mostruosità che lì dentro venivano fatte. Il male, l’oscurità, il dolore, alternati alla luce, ai colori, alla musica e alla libertà. Come se avesse voluto distinguere ulteriormente i due mondi, il regista fa scorrere i videogrammi vorticosamente dall’uno all’altro spazio e lo spettatore non può far altro che vedere alternarsi le immagini che si susseguono a ritmo di musica, rimanendone frastornato. Vertigini scaturiscono da una simile visione … e ci è chiaro che proprio questo era lo scopo del regista. Scopo raggiunto grazie anche ad una fotografia pulita e alla dinamicità costante.
Criticabile la scelta, effettuata dalla band, di suonare in una location desertica (poco originale), così come bizzarra potrebbe apparire la scelta di colorarsi il corpo. Quest’ultimo elemento trova giustificazione nella volontà di aggiungere una valenza simbolica all’intera band e non solo alla musica.
Ottima la scelta della protagonista femminile che malgrado il trucco volutamente esagerato, che la “indebolisce” sul piano realistico, ha dato prova di avere una buona capacità recitativa, sfoderando nella scena finale un sorriso pieno di libertà e di gioia con il quale avrebbe voluto abbracciare tutto il mondo.
VOTO: 7.5/10
Regia GIOVANNI BUFALINI
Soggetto e sceneggiatura GIOVANNI BUFALINI, MARCO GREGANTI
Fotografia TIMOTY ALIPRANDI, LUCA SILVAGNI
Montaggio MANOLO TURRI
Produzione AV PRODUCTIONS
Durata 4 minuti circa