CABIN FEVER – Trevis Zariwny
I ragazzi sono ragazzi, si sà. Raccogliete un gruppetto di maschietti schiavi degli ormoni, femminucce pronte a mostrarla e (nelle blande intenzioni) non darla; catapultateli nella canonica baita in montagna … cosa pensate combineranno? Diciamo che se arricchite il territorio montano con una sfilza di freaks e fate bussare alla loro porta un uomo grondante sangue, magari la vicenda è pronta a prendere una piega diversa.
Sono passati quindici anni dal Cabin Fever diretto dall’allora esordiente Eli Roth, e Hollywood sancisce che si tratta della corretta quantità di tempo necessaria a far decantare un remake. O semplicemente non si sa più in che (putrida) pozza pescare? Ridotto a produttore esecutivo, Roth osserva da lontano questo rifacimento che non è null’altro che una copia carbone dell’originale rivestito in salsa hollywood, per cui con un livello di patinatura che spazza via l’atmosfera malata dell’originale e indora la pillola con i gusti recenti. Pillola o supposta?
Lo sconosciuto Travis Zariwny compie il suo dovere, porta a casa il compitino, attualizza qualche scena solleticando i piaceri masochistici degli spettatori ma, zappando via il senso di disagio del film diretto da Eli Roth, annacqua il sangue con il miele, dimenticando (volontariamente) la principale peculiarità di Cabin Fever. Da gettar via? Direi di no, ma se lo guardate dategli il peso che merita.
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