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BRUSSELS FILM FESTIVAL 2012

Written by Mo

Esistono davvero delle qualità comuni a quello che potremmo chiamare il “cinema europeo”? Possiamo affermare che esista un legame, un linguaggio comune tra le diverse realtà cinematografiche europee?

Il Brussels Film Festival, partenariato dal prestigioso LUX Prize del parlamento europeo crede di sì e si vuole quindi ergere a piattaforma e motore di questa ricchezza cinematografica, forse troppo spesso dimenticata, dilatata in variegate realtà nazionali. La forza e l’identità europea risiedono soprattutto nella sua ricchezza culturale, nella sua diversità che diventa al contempo anche forza collettiva. Il Brussels Film Festival ha voluto mostrare, grazie ad una programmazione audace e provocante, questa diversità, questa ricchezza creando al contempo uno spazio di riflessione, di dialogo tra le varie realtà cinematografiche europee ma non solo. I film proposti durante questa decima edizione del BRFF ci hanno mostrato che malgrado i confini geografici e le differenze culturali, le preoccupazioni della nostra società sono spesso comuni, universali.

Particolarmente interessante è stata la scelta di proporre film provenienti dalle più svariate regioni del territorio europeo: Franca, Regno Unito, Serbia, Norvegia per non citarne che alcune, senza dimenticare realtà più lontane come il Marocco o la Turchia. I film in competizione ufficiale, ma anche le sezioni parallele hanno saputo affrontare le problematiche proprie alla nostra società senza falsi pudori, di petto e con estremo coraggio. A questo proposito sono da segnalare il controverso Clip della regista serba Maja Milos (vincitrice del White Iris Award), Twilight Portrait di Angelina Nikonova (Russia), Death for sale di Faouzi Bensaïdi (Belgio, Francia, Marocco, vincitrice del Golden Iris Award), Kill Me di Emily Atef o ancora lo splendido Still Life, dell’ austriaco di Sebastian Meise.

Death for sale si è aggiudicato il primo premio grazie alla sua elegante ma al contempo brutale maniera di mettere in scena dei giovani alla deriva, tormentati da una voglia di libertà, da una sete di vivere che non possono soddisfare; prigionieri di una società ostile dove non trovano spazio, dove vengono esclusi ed emarginati.

Tre giovani senza meta, prigionieri tra monti e mare nella città portuale di Tetouan, nel nord del Marocco, decidono di cambiare il loro destino. Sono determinati a svaligiare la gioielleria del centro città, convinti che sia un piano geniale, semplice e perfetto. Purtroppo la realtà sarà ben diversa e le ragioni che li hanno spinti verso questo gesto estremo li metteranno ben presto in situazione di conflitto. Soldi facili, una femme fatale e un tradimento, ecco gli ingredienti dell’ultima fatica di Faouzi Bebsaïdi (co-sceneggiatore di Loin di Téchiné e regista di Mille mois, premiato a Cannes). Un film forte e brutale ma sempre contenuto che mostra la violenza senza mezze misure ma sempre con grande eleganza formale. La domanda che Zaouzi si pone è: come “sognare” una vita diversa, come cambiare il proprio triste presente in una società che non accetta il cambiamento, dove le disuguaglianze sociale dominano sovrane e dove la modernità è un sogno impossibile da raggiungere? Delle inquietudini tutto sommato universali che riguardano molti giovani costretti a vivere in un mondo che li mantiene a distanza, un mondo che li soffoca e che non può dargli nessuna forma di sicurezza. Faouzi Bebsaïdi ha saputo mettere in scena le difficoltà proprie alla sua nazione (il Marocco) dando al tempo stesso un tono universale alle sue riflessioni. Questa forse il mistero che rende Death for Sale un film forte, intrigante e estremamente umano.

Un altro film che ha lasciato il pubblico senza parole è Clip della regista serba Maja Milos.

Maja decide di filmare il quotidiano di un gruppo di giovani adolescenti alla deriva, persi tra feste scatenate, droga, alcol e sesso. La portavoce di questa generazione senza futuro è una ragazzina di quattordici anni, imprigionata in una vita che non può accettare, con un padre malato ed una madre che non riesce più a capirla. Unico amico e testimone delle sue folli nottate è il suo cellulare che le permette di catturare l’attimo presente, registratore di una vita effimera  che vorrebbe comunque lasciare una traccia. Le immagini registrate dal cellulare di questa giovane ragazza sono indubbiamente scioccanti, violentemente reali e dirette, come un pugno nello stomaco, come se volessero gridare al mondo che tutto ciò esiste. Maja Milos non vuole semplicemente scioccare lo spettatore, vuole renderlo partecipe della perdita di valori della giovane generazione serba, completamente disorientata dopo i tremendi avvenimenti storici (la guerra Bosnia-Erzegovina) e l’evoluzione dei mezzi di comunicazione. Questa “new generation” serba si sente spesso inerme, senza punti di riferimento e tende a cercare rifugio nelle feste senza fine e nelle relazioni occasionali.

Per certi versi Clip ricorda film mitici di Larry Clark come Kids o ancora Ken Park. Ritroviamo infatti nel primo lungometraggio di Maja Milos quel candore misto ad una forte dose di aggressività proprio all’adolescenza, fase delicata della vita dove il mondo degli adulti sembra un mostruoso conglomerato di ipocrisia. Maja non indietreggia di fronte alle scene crude di sesso, dove i gesti diventano meccanici, quasi automatici. Il proposito della regista è quello di mostrare la realtà di questa giovane generazione, filmandone il quotidiano dall’interno, come se la telecamera ne facesse parte, testimone di una discesa vertiginosa verso un abisso non ben identificato, dove i sentimenti devono essere nascosti per non mostrare la propria debolezza. Particolarmente interessante è la scelta della regista di non giudicare questi ragazzi ma di mostrarne la quotidianità onestamente e con coraggio.

Per concludere questo “compte rendu” della decima edizione del BRFF niente di meglio che l’ultima opera di Sebastian Meise: Still Life, presentato nella sezione Panorama. Un padre paga prostitute che si facciano passare per sua figlia. La scoperta di questa ossessione sconvolgerà tutta la famiglia portandola verso un’inevitabile sgretolamento. Il figlio tenta di scoprire se il padre ha messo in atto i suoi fantasmi, la figlia vuole ordinare i propri ricordi d’infanzia e la madre sfoga senza mezze misure il risentimento verso il marito.

Un tema delicato? Non possiamo certo negarlo, e aggiungeremmo pure controverso ed ambiguo. Sebastian Meise non si è però tirato in dietro di fronte a questi temi scottanti, al contrario ha filmato i segreti di questa famiglia apparentemente normale con uno sguardo lucido e clinico estremamente interessante. Le domande poste da Still Life sono di una grande pertinenza: come essere un buon padre quando si hanno dei pensieri incestuosi nei confronti della figlia?Come convivere con questo senso di colpa? Quali sono le ripercussioni sociali, etiche e giuridiche nei confronti di questi individui “hors norme”?

Meise non cede mai alla spettacolarizzazione di questa storia sordida, incomprensibile. Sceglie invece di mostrarne l’ambiguità con delle immagini perfettamente equilibrate, con un ritmo lento e quasi monotono e con dei dialoghi brevi ma incisivi. Il regista austriaco non cerca una spiegazione alle pulsioni di questo padre di famiglia apparentemente “per bene”, ne mostra al contrario l’umanità malgrado la mostruosità dei suo desideri. Questo personaggio, perduto per sempre, in costante lotta contro i propri fantasmi, obbligato a vivere con una maschera sociale di normalità ed equilibrio è sconvolgente.

Azzeccatissima la colonna sonora di “Soap&Skin” che grazie alla ripresa di un classico degli anni ottanta (Voyage voyage di Desireless) riesce a creare un malessere costante nello spettatore ritmando le immagini con una melodia dolce amara che rimanda all’adolescenza. Memorabile la scena iniziale dove il ritmo di Voyage voyage accompagna un piano fisso della “casetta degli attrezzi” dove il padre da libero sfogo alle proprie fantasie. Un regista da seguire da vicino che mostra quanto le giovane leve della cinematografia austriaca riescano ad affrontare temi bollenti in modo innovativo: con un pacato cinismo ed eleganza formale.

La decima edizione del Brussels Film Festival ha confermato il proprio interesse per film controversi e stranianti accompagnandoli da opere più vicine a problematiche sociali attuali quali Italy love it or leave it di Gustav Hofer e Luca Ragazzi o ancora Kill me di Emily Atef che tratta la vicenda di una giovane ragazza che, non riuscendo ad affrontare la morte del fratello e incapace di inserirsi in una società che non le può offrire conforto, chiede ad un fuggitivo di aiutarla a togliersi la vita.

Posted in Cinema and Festival by Mo on agosto 4th, 2012 at %H:%M.

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