BORN TO HAVE IT ALL – Pino Donaggio
This big hush oggi tocca un tema pertinente col nome della rubrica, ed un tema a me molto caro: il grande silenzio, la troppa quiete attorno alla figura che dovrebbe essere l’orgoglio nazionale, omaggiato di premi alla carriera e tributi che invece non sono mai arrivati. Non in patria, al solito.
Ci sarebbe troppo da dire: Donaggio Cresce in una famiglia di musicisti, e a dieci anni comincia a studiare il violino, prima al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia e poi al Giuseppe Verdi di Milano, dove collabora anche con il maestro Claudio Abbado. Nella seconda metà degli anni cinquanta scrive brani per altri cantanti, ma nel 1959 scopre il rock and roll ed incide i primi dischi. Dopo tre presenze a Sanremo arriva nel 1965 al Festival con quello che sarà il suo maggiore successo: Io che non vivo (senza te). La canzone viene presentata in seconda esecuzione da Jody Miller, ma un’altra cantante presente alla stessa edizione del Festival, Dusty Springfield, decide di farla sua e di inciderla una volta tornata a Londra. Nella sua versione in lingua inglese, intitolata You Don’t Have to Say You Love Me, il brano fa il giro del mondo entrando nelle classifiche di vendita di moltissimi paesi. Numerosi artisti di fama internazionale, tra cui Elvis Presley, vorranno includerla nel loro repertorio, tanto da farla diventare un classico di tutti i tempi. Dopo altre partecipazioni a Sanremo (Una casa in cima al mondo, Io per amore, Le solite cose), a Un disco per l’estate, al Festival delle Rose e a Canzonissima, il successo commerciale inizia a declinare.
Nel 1973 esordisce come musicista di colonne sonore con il thriller A Venezia… un dicembre rosso shocking di Nicholas Roeg; il film è un successo clamoroso e gli vale il premio della stampa inglese per la migliore colonna sonora dell’anno. Il regista Marcello Aliprandi lo chiama per musicare Corruzione a Palazzo di Giustizia con Franco Nero e Un sussurro nel buio, altro thriller con cornice veneziana e, proprio mentre sta musicando quest’ultimo, Donaggio viene contattato da Brian De Palma che, avendo apprezzato il suo lavoro con Roeg, gli chiede di realizzare una colonna sonora nello stile di Bernard Herrmann (appena scomparso) per il suo nuovo film intitolato Carrie, lo sguardo di Satana. Il risultato è sbalorditivo.
Nonostante il film successivo di De Palma, Fury, viene musicato da John Williams, il regista americano richiama Donaggio per Home Movies, ammettendo che la sua musica è più funzionale al suo cinema. Comincia così uno dei sodalizi più celebri nella storia del cinema, che confeziona capolavori immagine-musica come Vestito per uccidere, Blow Out o Omicidio a luci rosse. Nel frattempo Donaggio, diventato richiestissimo e si specializza in colonne sonore per horror raffinati come Un’ombra nel buio o Déjà vu, ma è anche uno dei compositori preferiti da giovani cineasti destinati a diventare famosi, come Joe Dante (Piranha e L’ululato). E proprio sulla collaborazione con De palma (altro grande genio che non è stato mai insignito nemmeno di un Oscar alla carriera o alla regia, e viene avvero spontaneo chiedersi … perché?) ci soffermiamo, con quella che è stata la loro prima collaborazione: Carrie, lo sguardo di Satana, tratto da un romanzo di Stephen King.
Sissy Spacek disegna con sensibilità e una recitazione perfetta, uno dei personaggi più dolci e sventurati visti nel cinema horror, rendendo credibili emozioni che difficilmente in mano (o “col volto”) ad (“di”) altre sarebbero riuscite così sussurrate e vive. Altra marcia in più è la magistrale regia di Brian De Palma, grande ammiratore e studioso di Hitchcock, che rilegge le atmosfere del giallo su chiavi di alto impatto visivo, in un binomio tra musica e immagine che raggiunge la perfezione nella drammatica e surreale sequenza finale della festa, realizzata con l’ausilio della tecnica dello split-screen che è un supporto linguistico/cinematografico caro e distintivo di De Palma. La musica di Pino Donaggio sottolinea le emozioni, regalandoci brani oggi forse un po’ datati, ma di grande struggimento, così perfetti sulle immagini che è impossibile oramai vedere il film ed immaginare, ad esempio, il pianosequenza iniziale, con un commento musicale differente. Il film segnò il debutto sul grande schermo di Amy Irving (la cui sorella canta i brani di Donaggio) e fu il secondo film di John Travolta prima del lancio definitivo de La febbre del sabato sera e Grease.
Una voce perfetta, pulita (che in asia divenne cult) ed un sapore vintage da pelle d’oca, per delle song che sarebbe difficile immaginare come temi per un horror, e che solo la bravura e sensibilità di Donaggio, uniti alle caratteristiche di un regista colto come De Palma, potevano portare a osare (imitati poi in seguito spesso e con risultati per lo più ridicoli). È possibile ascoltare il brano qui
La canzone in una frase:
Young girls
Some were born to dance
Born to take a chance
Others sleep at home
And they sleep alone
No one even knows
L’immortalità e modernità di questi brani si sviluppa anche nelle reinterpretazioni recenti che altri artisti han fatto, come la bellissima cover di Regine Velasquez (ascoltabile qui) che fa sembrare il brano quasi un recente pezzo della Carey o Dion.