BODY – Paween Purijitpanya
L’incursione di una donna misteriosa nella vita di Chon (Arak Amornsupasiri) gli causa incubi e visioni deliranti e sanguinolente. Questi è costretto a entrare in terapia per comprendere; per trovare risposte alle sue innumerevoli domande ma soprattutto per conoscere l’identità di quella donna tanto indecifrabile … e del suo altrettanto imperscrutabile carnefice.
Paween Purijitpanya è un regista thailandese che ama Steven Spielberg alla follia, tanto da prenderlo punto di riferimento cinematografico. In questa pellicola si cimenta nell’arduo compito di fondere due generi tanto distanti tra loro, vale a dire lo splatter e lo psicologico. Le scene ricche di sangue, infatti, servono da giusto controaltare alla forte tinta onirica che impregna la quotidianità vissuta dal protagonista.
Gli amanti del cinema horror sanno bene che i dettami del genere sono stati già tutti consolidati e, se un regista ha l’ardire di voler stupire lo spettatore reggendo una storia su questi pilastri, deve farlo giocando sulle sfumature, sugli incastri e come detto più volte su una sceneggiatura d’acciaio. Non vogliamo essere troppo cattivi con Paween Purijitpanya, d’altro canto quest’opera è il suo primo lungometraggio come regista. La pellicola presenta molte ingenuità a livello strutturale, una su tutte scegliere la soluzione dei molteplici finali per voler risollevare l’eccessiva lentezza e scarsità di informazioni chiave che permeano tutta la prima parte del film, grazie a un colpo di scena dopo l’altro (come una sequenza sfrenata di fuochi d’artificio prima del gran botto finale).
Semplicità, sembra una cosa così difficile di questi tempi perché ci si ossessiona nella ricerca dell’irricercabile, perdendo di vista altri elementi importanti che balzano subito dinanzi agli occhi di chi scrive. Gli effetti speciali in computer grafica sono totalmente avulsi dal contesto; la recitazione non è convincente come non sono convincenti i dialoghi che, in più punti, non aggiungono nulla alla trama ma, anzi, deconcentrano lo spettatore. La scelta di far durare la pellicola quasi due ore non è certo azzeccata e non è giustificabile nemmeno come mero entertainment per lo spettatore interessato solo alle sequenze ricche di effetti speciali.
Paween Purijitpanya avrà sicuramente modo di correggere il tiro nelle pellicole successive, magari semplicemente tentando di essere più diretto nei messaggi lanciati o, quantomeno, puntando verso una soluzione finale più lineare. Molto spesso ci si dimentica che quello cinematografico è prima di tutto un linguaggio, una forma di comunicazione; se il messaggio è incomprensibile o ingarbugliato è inutile tentare di districare la matassa negli ultimi istanti, spiegando allo spettatore con la voce fuori campo del protagonista quello che si è visto durante due ore di agonia.
Cast: Arak Amornsupasiri, Ornjira Lamwilai, Kritteera Inpornwijit, Patharawarin Timkul
Soggetto: Chukiat Sakweerakul
Thailandia, 2007