BIG EYES – Tim Burton
Ci sono storie vere così incredibili ed affascinanti che il cinema non può far altro che adottare, trasferire su grande schermo e lasciare a bocca aperta chiunque non le abbia mai sentite prima. E’ il caso della vita di Walter e Margareth Keane, uniti nell’arte e nel matrimonio. Lui modesto e ripetitivo pittore realista respinto da tutte le gallerie d’arte, lei fantasiosa autrice dei quadri Big Eyes che raffigurano bambini abbandonati con peculiari occhioni malinconici.
Le frustrate ambizioni di Walter lo portano ad appropriarsi per anni dei meriti della moglie, succube e fin troppo ingenua nel credere all’uomo e nel fatto che “una donna artista non riuscirà mai a vendersi”. Nella California degli anni cinquanta, il Keane sbagliato diventa uomo del momento mentre Margareth, nell’ombra, ne decreta il successo con le sue opere. Fino alla resa dei conti, dettata parallelamente dall’escalation di squilibrio dell’impostore e dalla sete di giustizia della rinsavita moglie. Per una vicenda più incredibile del fantastico, chi mettere dietro la macchina da presa se non il portavoce della favola (post)moderna Tim Burton?
Reduce da un periodo di flop come Alice In Wonderland e Sweeney Todd e i compitini Frankenweenie e Dark Shadows, l’eroe dell’emo-generation abbandona i toni cupi e la stucchevole macchietta-feticcio Johnny Depp scommettendo sulla brillante sceneggiatura “coeniana” firmata Alexander & Karaszewski (già autori del fortunato Ed Wood). La nuova veste estetica, che ricorda vagamente quella del bellissimo Big Fish, esalta un Burton più sobrio ed originale che irradia di colori sgargianti i boulevard californiani in cui si svolgono i fatti; fatti che, come si diceva, sarebbero già sufficienti a catturare l’attenzione ed attirare fiumi di empatia nei confronti della sventurata Margareth. Non bisogna però sminuire l’importanza degli accorgimenti del regista, che porta la pellicola in perfetto equilibrio tra divertimento ed amara inquietudine, senza dimenticare un (singolo ma azzeccatissimo) momento surreale che ribadisce il trademark di Burton.
Le follie domestiche ed artistiche dei coniugi Keane, già esplosive, diventano atomiche grazie al duo di attori prescelto: il sempre “bastardo” Christoph Waltz ed Amy Adams (nel suo abito migliore) sono in totale sintonia recitativa. La teatralità demodé del fedelissimo di QT e il dolore soffocato della Adams fanno a “chi ce l’ha più lungo”, regalando al film un ritmo indiavolato e a Burton un nuovo guizzo verso l’alto con questo film finalmente convincente a tutto tondo. Con buona pace dei cappelloni, dei make-up, di Depp e della mugliera.