BATTLE ROYALE – Kinji Fukasaku
In un futuro non troppo lontano la società giapponese è al collasso, e uno degli aspetti che maggiormente risaltano in questo crack (o che ne sono la causa, punti di vista) è la violenza giovanile ai massimi livelli, sopratutto nelle scuole. Per contenere il fenomeno, il governo vara il Battle Royale Act, una legge che impone a selezionate classi liceali di partecipare ad una sorta di survival game ambientato su di un’isola deserta.
Gli studenti vengono dotati di un equipaggiamento e di un’arma più o meno mortale, imprigionati da un collare che ne può rintracciare la posizione e, all’occorrenza, farne esplodere le arterie in caso di ribellione (espediente ispirato a Fuga da New York). Il gruppo di ragazzini si ritrova così a spostarsi da una parte all’altra dell’atollo in quanto ogni zona può trasformarsi in pericolo. Solo uno alla fine dovrà sopravvivere, qualora ciò non avvenga entro tre giorni, tutti sono destinati a morire. Con queste premesse i ragazzini non ci pensano due volte a massacrarsi fra di loro in una caccia continua al compagno di classe, basta un piccolo pretesto perché una cena tra amiche si trasformi in massacro o perché l’innamorato vicino di banco estragga un’ascia per piantarla in testa. Dulcis in fundo sull’isola ci sono anche un paio di volontari, vere e proprie macchine di morte silenziose e armate fino ai denti. Direttore dell’orchestra è il professor Kitano (interpretato dal regista culto Takeshi Kitano) che diffonde via altoparlante il nome ed il numero di ragazzini morti nella giornata.
Vero e proprio cult movie del Sol Levante, Battle Royale ha avuto non pochi elogi e altrettante opposizioni, soprattutto per la rappresentazione critica del sistema scolastico giapponese, basato unicamente sulla competizione. Il regista Kinji Fukasaku, all’epoca 70enne, trae l’opera dall’omonimo romanzo (a cui si è ispirato anche il manga), punta molto sull’ironia, soprattutto nelle scene di indottrinamento degli studenti, effettuato attraverso un video a dir poco esilarante quanto agghiacciante nella sua allegra lezione di morte. I riferimenti sono molteplici, uno su tutti, l’apoteosi del mutamento adolescenziale da tenera creatura a essere incarnante il lato più istintivo e selvaggio, Il signore delle mosche di William Golding.
Quello che affascina in Battle Royale è la semplicità di una messa in scena che non lascia il tempo di respirare, che ammalia perchè sconvolge ma allo stesso tempo fa riflettere. I personaggi hanno il giusto spessore pur nella loro breve apparizione (anche visto il numero impressionante di morti) e le scene di azione e di omicidio non sono mai fini a se stesse. Kitano gigioneggia quel tanto che basta e ci offre una cruda rappresentazione del bastone di comando. Un film vivamente consigliato.