BABYGIRL – Halina Reijn
Romy (Nicole Kidman) è un’imprenditrice di successo, una mamma, una moglie e, soprattutto, una persona che tiene le redini della sua vita ben strette, ben salde. Ma è proprio questo controllo a venir meno nel momento in cui fa la conoscenza del giovane stagista Samuel (Harris Dickinson).
Quando lo incontra, fuori dall’edificio in cui lavora, nota che riesce a controllare l’aggressività di un cane con pochi semplici gesti e un’imperturbabilità quasi sovrumana. Improvvisamente, il controllo delle molte briglie con cui a fatica teneva legate a sé le innumerevoli sfaccettature della sua vita crolla rovinosamente, e dentro di lei si risveglia qualcosa di sopito, di animalesco.
Così comincia tra i due un gioco fatto di seduzione, esercizio del potere e dei ruoli, un misto tra tensione emotiva, rispetto reciproco e un contegno che, giustamente, in ufficio devono mantenere. Il fascino della trasgressione, il rischio di essere scoperti, la possibilità che tutto il futuro della donna, compresa quella stabilità che aveva costruito con suo marito (Antonio Banderas) e di conseguenza la sua famiglia, vadano in frantumi non fanno altro che eccitare Romy.
Più che altro, lei, che aveva sempre tentato di esercitare il suo potere sul prossimo, ora si ritrova a esserne succube, e il fatto che a farlo sia solo uno stagista, molto più giovane di lei, non fa altro che eccitarla ancora di più.
Con il film dell’olandese Halina Reijn, le tematiche “kinki” raggiungono un nuovo stato evolutivo. Era forse dai tempi di Cinquanta sfumature di grigio che non venivano toccate certe corde, soprattutto sfruttando i ruoli e le gerarchie sociali nel luogo di lavoro. La regista non è nuova a questi temi: anche in Instinct vi erano dinamiche morbose che sfociavano in desiderio sessuale.
Forse, volendo trovare un parallelismo con Cinquanta sfumature, anche qui si arriva a una sorta di “contratto” tra i protagonisti, ma le tematiche BDSM vengono trattate con una serietà e una credibilità maggiori. Altro punto di contatto è l’ambiente di lavoro, luogo principe dove il ricatto e l’opportunismo la fanno da padroni. A completamento del quadro, aggiungiamo anche il concetto che, se è vero che a condurre il gioco è il ragazzo, chi ha il ruolo apicale è una donna manager vicina alla sessantina.
Il film è stato presentato all’81ª Mostra del Cinema di Venezia ed è valso la Coppa Volpi a Nicole Kidman, perfetta nel ruolo di una donna in piena crisi esistenziale, pur senza regalarci la “performance della vita”. Il punto di forza di questo film, oltre alle ben evidenti tematiche trattate, sono le relazioni tra i due protagonisti, ben scritte e messe in scena, ma è soprattutto la loro credibilità a lasciare nello spettatore lo stesso senso di impotenza della protagonista.
Alla fine del film, quando l’arco narrativo è ormai concluso, si ha però la sensazione che manchi qualcosa: forse la trama poteva essere più articolata e meno lineare, magari calcando la mano sull’abuso di potere e sul ricatto, che in questi ambienti trovano terreno fertile.