ANTONIO PANTANO – “Arcandia”
Arcandia è il titolo di un concept album interamente strumentale realizzato da un giovane autore siciliano, Antonio Pantano. L’intuizione raccoglie temi cari agli amanti del fantasy, probabilmente ispirata dai recenti successi cinematografici e letterari del genere.
Uomini dall’impareggiabile coraggio, draghi, viaggi, popoli e leggende. Cronache dei guerreri nordici è il titolo del racconto originale su cui si fondano le tracce del disco. Il cd è accompagnato da un corredo completo di mappa a colori ad alta risoluzione, su cui orientarsi per godere maggiormente della storia e la storia stessa è scaricabile in formato pdf. Il prodotto viene presentato in pompa magna, inclusa la partecipazione di uno speaker che vanta nel curriculum lavori per la Bbc. E allora andiamo ad ascoltare le tracce per indagare la qualità effettiva del lavoro.
Nonostante dal punto di vista del ‘marketing’ il prodotto appaia impeccabile, con trailer degni di Hollywood e altisonanti partecipazioni, l’orecchio rimane piuttosto deluso.
Quello che subito stupisce molto è la mancanza di una decisiva partecipazione della chitarra elettrica, strumento che accompagna l’autore nella sua pagina e nelle foto che lanciano il disco. Ce ne si aspettava una presenza più massiccia. Si nota come in più di un’occasione le sei corde siano “nascoste” dietro altri strumenti, anche – e qui diventa quasi fastidioso – in fase di solo e in passaggi importanti. Viene da chiedersi perché, dopo oltre un anno e mezzo di lavorazione, non si sia riusciti a portare a termine un mixing migliore.
E continuando su questo argomento, tocca sottolineare come non di rado la coesione tra le parti venga meno: a volte gli strumenti si soffocano l’un l’altro creando attimi di caos assoluto, mentre altrove un’entrata fuori tempo ti spinge a passare al brano successivo. Insomma non siamo assolutamente all’altezza di una registrazione professionale. Passiamo alle canzoni.
Ad un livello generale, Arcandia si fa ascoltare. Le tastiere fanno il loro dovere – anche troppo – e rendono bene le atmosfere. C’è una varietà di stili ricercata, dai ritmi folkeggianti alle mini ballate al piano, al metal. Piace poter ritrovare una discreta gamma di sonorità tipiche della musica nordica – certamente, sintetizzati dalle tastiere. Tuttavia, come anticipato, l’orecchio rimane deluso. Oltre al mixing tutt’altro che perfetto, sorprende il livello relativamente modesto di esecuzione (salve le dovute eccezioni) così come stupisce la linearità delle soluzioni armoniche, prevedibili e ridondanti. Nulla, insomma, che faccia sobbalzare dalla poltrona. Le progressioni sono ferme agli anni ’80 e questo contribuisce a rafforzare, dopo la prima mezzora, l’inevitabile caduta nella noia.
Certo non dimentichiamo che la musica è stata scritta immaginandola come colonna sonora di una storia, magari da forgiare in un lungometraggio. Non ci si stupisce così di ritrovare, inframezzati tra i brani, sia la voce narrante che vari effetti sonori. E’ possibile tenere viva l’immaginazione (e quale musica può definirsi tale se non riesce a stimolarla?) e tentare di ‘vedere’ la musica in sequenze filmate ma niente, non funziona nemmeno così.
Saltuariamente si avvertono passaggi interessanti, ma rimangono aggrappati come corpi estranei alla totalità del brano piuttosto che esserne parte. Scegliendo tra i titoli, la ballata “Born from the cold” e l’incipit di “Icy tempest”, con un fraseggio carico di delay e l’irruzione di un potente riff metal, risultano le canzoni maggiormente riuscite. Da salvare anche “Hymn to the brave”, con la partecipazione di Gabriels (presente anche in “Furia Divina” e in “Ancient Folks” con uno strepitoso assolo). E’ un dato di fatto che la presenza del tastierista crei un picco di interesse nelle tre tracce, migliorando sensibilmente la percezione della qualità.
Sulle capacità e lo stile di Antonio Pantano come chitarrista non possiamo dire molto. Escludendo i punti dove si avverte ma non si distingue, la chitarra non esprime adeguatamente il suo potenziale. Avremmo voluto ascoltare di più e, soprattutto, ascoltarlo meglio.
Spiace dover esprimere opinioni così nette, specialmente per un giovane autore che ha dimostrato di volerci credere, ma Arcandia non convince. Da questa prova le sette note escono piuttosto “sfinite”, l’orecchio rimane deluso. Le idee non mancano ma sono ancora incoerenti e acerbe, tradotte in musica in maniera quasi improvvisata e dilettantesca. In chiusura, possiamo dire di aver trovato tanta voglia di fare ma approssimativa conoscenza dei mezzi. Un disco interamente strumentale è un impresa impegnativa anche per i professioni più capaci, per questo il progetto del giovane autore siciliano risulta, al momento, troppo ambizioso (e, forse, finanche pretenzioso).