AMORES – Lorenzo Giovenga, Lucio Zannella, Francesco Chiatante, Giuliano Giacomelli
Daphne, Arianna, Iride e Selene sono i quattro nomi di donna dietro i quali si celano i quattro capitoli che compongono Amores. Proprio come l’omonima opera letteraria di Ovidio, anche in questo film il vero protagonista è il rapporto di coppia, visto non solo tramite lo sguardo di quattro donne differenti, ma narrato attraverso altrettanti generi (ed espedienti) narrativi.
Partiamo da un’introduzione illustrata dai disegni di Jessica Altera che, mediante una voce fuori campo, ci spiega il mito greco dell’ermafrodito, l’essere perfetto che aveva le fattezze di un uomo e di una donna fusi insieme, che per invidia degli Dei venne scisso in due entità incomplete destinate a rincorrersi senza fine, in cerca della perfezione perduta.
Dopo questa introduzione si comincia a percorrere le quattro storie, cominciando con l’episodio intitolato “Daphne” (regia di Lorenzo Giovenga) dove siamo immersi in un tranquillo paesotto, come tanti sparsi in Italia. In questo scenario non mancano certo figure caratteristiche come il bullo di paese, il solerte commissario ma, in particolare, è sul deforme Francesco (detto Frollo), innamorato della bella (minorenne) Daphne, che si concentra l’attenzione del regista. Un rapporto tormentato quello tra i due che subito assume delle tinte nere, per poi sfociare nel dramma nel momento di presa di coscienza di Frollo di fronte ai sentimenti non contraccambiati della ragazza.
Nel secondo capitolo (di Lucio Zannella) ci troviamo nella costa campana e facciamo la conoscenza del giovane e aitante marinaio Teo, di ritorno da un lungo pellegrinaggio in mare. Durante il suo gironzolare in paese, in attesa di riprendere il largo per una nuova avventura, incontra la bella e avvenente Arianna che, insieme al marito, gestisce un piccolo pub. Teo la convince a commettere adulterio per poi lasciarla con l’amaro in bocca e con l’ennesima conferma che un marinaio non ha fissa dimora, nemmeno nel cuore di una donna.
Nel terzo episodio (diretto da Francesco Chiatante) la macchina da presa segue in maniera ossessiva il percorso delirante della protagonista, Iride, che non accetta la sua sessualità e, nascosta tra le mura domestiche al riparo da sguardi indiscreti, può finalmente sfogare la vera natura, dedicandosi all’amata Maya. Alla coppia non sembra mancare nulla: hanno l’amore e la loro vita segreta. Tuttavia una sera, un misterioso signore mascherato propone loro un gioco sadico che conduce la coppia verso un infausto destino.
Il quarto episodio (di Giuliano Giacomelli) chiude Amores seguendo le vicende di Selene ed Ecclesio, giovani sposini che dopo una fase brillante del loro rapporto si ritrovano a non avere più appetiti sessuali. Quello che non manca tra i due è l’amore ma, purtroppo, questa bellissima parola non basta senza l’apporto di emozioni, attenzioni e sensazioni capaci di donar vita e tangibilità all’amore. Altro elemento cardine mancante è quel gioco, quella voglia di vivere l’altro come una continua scoperta, un desiderio che spinge i due ad esplorare strade … inattese.
Impresa degna di nota, nel panorama indipendente italiano, questa di Amores che nasce grazie allo sforzo congiunto di quattro registi che tra Anguillara Sabazia, Roma e Vietri Sul Mare hanno dato vita alle loro storie. Il sottile filo che lega le storie non è solo l’amore, ma anche un certo cinismo di fondo dei protagonisti che raramente sono icone positive, donando uno spessore di veridicità non ininfluente. Il genere è anche un silente protagonista che pervade tutta l’opera: si passa dall’horror a tinte noir dell’episodio di Giovenga, al romanticismo passionale di Zannella, per poi sprofondare nel gotico più profondo di Chiatante fino a sorridere amaramente con la commedia di Giacomelli.
La presenza di un budget risicato si fa sentire, come sempre, e chi guarda deve essere cosciente che molte delle mancanze sono diretta conseguenza del fattore budget. La credibilità di alcuni personaggi, in alcuni momenti, viene meno, soprattutto in quegli episodi dove la brevità delle storie consente ancor meno il tempo narrativo utile allo spettatore per approfondire ed entrare in sintonia con i personaggi. Nel complesso l’opera del quartetto di giovani cineasti risulta più che buona, in quanto mantiene sempre vivo l’interesse e (finalmente) si discosta dai canoni e stilemi tipici della commedia italiana attuale, sposando un taglio più realista, cinico, e sicuramente genuino.