ESSI VIVONO – John Carpenter
Jack Nada, operaio disoccupato, si trasferisce a Los Angeles in cerca di un lavoro. Riesce a trovarlo e finisce in un villaggio di baracche gestito dalla chiesa episcopale africana, dove si imbatte in un predicatore cieco che parla di alcuni invasori che controllano le coscienze, mentre nel campo la sera tutti guardano una televisione attraverso la quale filtrano dei disturbati messaggi di un altro predicatore.
Jack trova degli occhiali da sole che gli permettono di vedere la realtà: il mondo è occupato da alieni che, con la connivenza dell’uomo (e di relative leve economiche), soggiogano l’umanità attraverso messaggi subliminali. Nella filmografia di Carpenter Essi Vivono, che segue di poco Il signore del male, è il secondo dei quattro film a basso budget commissionati dalla Alive Films. Considerato da molti come un’opera minore di Carpenter, il film presenta delle differenze di rilievo rispetto a tutto il suo corpus tipico.
È sempre risultato complesso analizzare un’unica opera di John Carpenter senza sfociare in un discorso generico sul suo cinema, quasi come si provasse la pruriginosa insoddisfazione di compiere un discorso monco se decontestualizzato da una filmografia paragonabile quasi ad un’unica pellicola di tanti episodi. Ma è proprio per questa straordinaria insistenza nel far convergere, riproponendole indefessamente, le stesse direttrici tematiche nell’arco di una carriera, a rendere le anomalie di Essi vivono uno spunto di riflessione interessante. Si dice che si tratti del suo film più politico, quel che è certo è che sicuramente possiamo ascriverlo come il più sfacciatamente diretto nell’esibire un lucido e, al contempo, amaro atto d’accusa verso il quadro politico americano del periodo. Nel mirino ci sono gli 8 anni di amministrazione Repubblicana del presidente Regan, la conseguente e progressiva erosione dei ceti medi, l’aumento della forbice sociale, il tutto demonizzando espressamente i mezzi di comunicazione televisivi e pubblicitari, rei di essere i veicoli principali per la strumentalizzazione delle masse in favore di un depersonalizzato capitalismo.
La differenza rispetto agli altri film non risiede nel messaggio anti-politico di per sé, quanto nella scelta di far coincidere questo messaggio con la “fabula” stessa, senza filtri, senza la consueta mimesi in un qualche plot godibile e svincolabile da esso. Basterà fare un piccolo passo avanti approdando a Il seme della follia, per vedere lo stesso j’accuse indirizzato al mondo dei mezzi di comunicazione, confondersi in un complesso e non direttamente esplicito gioco di myse en abime, dove il punto di osservazione permea di volta in volta lo stesso senso della narrazione. Il seme della follia è un film profondamente “quantico” in cui il narratore/autore diviene demiurgo di uno stratificato mondo in cui è impossibile delineare sia una reale distinzione tra i vari livelli narrativi, sia quella tra la narrativa di finzione e la vita stessa. In Essi vivono non vi è nulla di simile. La denuncia è limpida e la vista ne è la vera chiave di lettura. La società condiziona le masse attraverso messaggi subliminali visivi (forte l’impatto visuale dei giganteschi cartelloni disseminati per tutta Los Angeles) che instillano nella mente dettami che inducono al consumismo e all’obbedienza. Solamente i particolari occhiali da sole progettati dalla resistenza permettono di vedere con chiarezza sia l’aspetto degli alieni, sia l’effettivo messaggio nascosto in ogni manifesto pubblicitario o alla televisione. Il condizionamento alieno lavora attraverso un arricchimento degli elementi visivi e con una iper-colorizzazione della realtà; facile intuire come questo eccesso di agghindamento dell’immagine sia per l’autore simbolo evidente di quel processo di seduzione dell’audiovisivo tipico dei nuovi media.
La resistenza, al contrario, persegue le proprie finalità con un atipico processo di sottrazione che richiama a una nostalgica identificazione con una passato più puro e meno adornato. Difatti la visione del reale, ripristinabile con quegli occhiali da sole speciali, è a tutti gli effetti un’immagine più spoglia e priva di colori. Non è un caso che sia proprio il predicatore cieco l’unico personaggio che possegga una visione nitida di quello che sta avvenendo del mondo. Con Essi Vivono Carpenter conferma la sua generale diffidenza verso l’evoluzione dei media, cinema compreso, contestando indirettamente la politica di colorizzazione delle vecchie pellicole propugnata in quegli anni da Turner.
Anche le locations sono un elemento divergente rispetto al passato in un film lievemente meno notturno, che abbandona momentaneamente i più consueti set rarefatti, ricchi di scorci, per approdare nell’opulento caos della metropoli. Ciononostante permeano lo stesso alcuni capisaldi del suo cinema. Ne è esempio il tipico isolamento di un protagonista più antieroe che eroe, leale e brusco che, anziché agire in nome di valori ed ideali supremi, più che altro si ritrova involontariamente coinvolto. Viene anche ribadita l’atavica diffidenza di Carpenter verso le istituzioni che, nel suo cinema, vengono sempre descritte come una forza oppositiva, che rende più complicato il percorso di quest’uomo “qualsiasi” sregolato e socialmente non rilevante, ma che in un secondo momento assurge al ruolo di simbolo dell’identità individuale di ogni uomo che deve lottare per difendere il diritto al libero arbitrio.
Anche disimpegnandosi dalle critiche sociopolitiche, Essi Vivono rimane comunque un film da vedere: solido, efficace, in grado di svelare ogni pensiero senza per questo appesantire la visione. Interessante perché al contempo differente rispetto ad altri lavori del regista in alcuni suoi snodi, ma sublimemente confortante in quanto proprio tra le pieghe di queste differenze riconosciamo i topoi di un cineasta autore e creatore di parte dell’immaginario cinematografico collettivo degli ultimi 35 anni.