REALITY – Matteo Garrone
Un meraviglioso piano sequenza aereo segue un’elegantissima carrozza trainata da due cavalli bianchi, fino all’arrivo a destinazione. L’ingresso in una sfarzosissima villa partenopea, la discesa dei due novelli sposi, lo scatenarsi della festa.
Così ha inizio Reality, che qualche mese fa ha regalato al regista Matteo Garrone (Gomorra) il gran premio della giuria al Festival di Cannes. È proprio a quella festa che Luciano (Aniello Arena), modesto padre di famiglia e gestore di una piccola pescheria, conosce di sfuggita Enzo (Raffaele Ferrante), reduce dell’ultima edizione del Grande Fratello, ospite d’onore dell’occasione e acclamato eroe di tutti i presenti. Luciano, folgorato dalla notorietà accumulata da Enzo e incalzato dalla pressione dei suoi tre figli (devoti agli idoli dei reality), non si lascia sfuggire l’occasione e partecipa ai provini per l’edizione successiva del programma televisivo che ha fatto del voyeurismo un’arte.
Il responso tarda ad arrivare, ma le sensazioni di Luciano e di tutti gli abitanti del suo piccolo quartiere popolare sono buone e in un’unica, ottimistica, direzione: sulla fiducia, tutte le persone che circondano Luciano lo eleggono a nuovo eroe, applaudito per strada e ricoperto di congratulazioni e attenzioni anche da chi, fino a una settimana prima, non sapeva neppure chi fosse. Difficile rimanere coi piedi per terra, soprattutto per chi dalla vita ha avuto meno di quanto potesse sperare e ora vede le luci della ribalta e un futuro glorioso ad una telefonata di distanza. Luciano abbandona progressivamente le vesti di uomo comune e si prepara al successo, un successo rispetto al quale si sente ormai legittimato. E che ha deciso di avere, a tutti i costi.
Garrone definisce il suo film un racconto sulla “ossessione della popolarità”, laddove l’ossessivo è qualcosa di letterale, di pericolosamente concreto. È l’esito estremo di un processo che trasforma un sogno (di gloria) in un incubo cannibale che fagocita affetti, finanze e salute mentale di un uomo ordinario e apparentemente coi piedi per terra; ed è un’ossessione contagiosa che non colpisce solo Luciano, ma anche chi lo circonda. Ogni epoca ha i sogni che si merita, ogni platea il suo divo; la reality mania spadroneggia non solo nei quartieri popolari di Napoli (anche se lì, nel realismo garroniano, la fame di fama sembra un po’ più mordace che altrove), e se l’analisi della cultura “grandefratelliana” meriterebbe un papiro a parte, quella dell’apparire vige da decadi. E trova in Reality uno dei suoi migliori ritratti: non solo nell’autolesionista metamorfosi di Luciano, ma anche negli esiziali contributi dei personaggi che lo affiancano, come il giovane barista che vuole abbandonare il bancone e fondare il fan club della futura star o la famiglia di Luciano, divisa fra i (pochi) membri scettici e i molti entusiasti che fomentano le ambizioni dell’uomo.
Sono loro che rappresentano la spiegazione e al tempo stesso la causa dell’ossessione di Luciano: piacere agli altri, uscire dai vicoli di un quartiere affettuoso ma claustrofobico come un confessionale dalle rosse pareti. Pareti nelle quali molti vorrebbero farsi intrappolare, abbandonando la vecchia vita in vista di una nuova, molto più gratificante. Le divertenti peripezie e le balzane convinzioni di Luciano lasciano passo dopo passo il posto a momenti più cupi, a un’ironia più amara e un dramma avvolgente. E ad un enorme senso di pena per un protagonista che (inconsapevolmente) mette se stesso alla berlina, come un animaletto che segue istericamente la luce di un laser sul pavimento.
Data per scontata l’elevatissima cura tecnica da parte di Garrone, Reality vince la sua sfida principalmente per il modo sapiente col quale gestisce la dimensione emotiva del racconto, che alterna divertimento e amarezza, empatia e compassione, umanità e mitomania per una vicenda che lascia in bocca il sapore pungente del tragicomico. Ma anche una moltitudine di riflessioni … e di curiosità: Aniello Arena, che interpreta in maniera brillante il ruspante Luciano – “king for a day” meravigliosamente e tragicamente italiano al tempo stesso – è detenuto nel carcere di Volterra, condannato all’ergastolo per il coinvolgimento nella strage di Piazza Crocelle a Barra (8 gennaio 1991). A ben vedere, il film stesso racconta di molte e differenti prigioni: una vita banale, una casa dove si viene spiati e da cui non si può uscire, un sogno che diventa ossessione.