THIS TIME TOMORROW – Shane Bissett
20 dicembre 2012: ventiquattro ore prima del giorno che, secondo l’ormai celeberrima profezia maya, farà calare il sipario sulla terra e l’umanità tutta. Il giovane regista statunitense Shane Bissett (assistente di produzione per blockbuster come Rocky Balboa, Amabili Resti e Giustizia Privata), ventisei anni, prova a immaginare cosa farebbe un suo coetaneo in quella data.
Stacey (Dave Coleman) non ha dubbi su come impiegare le ultime ore a disposizione: lascia New York per visitare la sua ex città, Philadelphia, ma soprattutto la sua ex fidanzata Parker (Jade Elysan). È lì che il cuore lo porta, è lì che ritrova vecchi affetti e altrettanti rimpianti. Per i due ritrovarsi è strano, ma progressivamente l’imbarazzo lascia spazio ad una ritrovata intimità e a una giornata che scorre come fosse il primo appuntamento. Un improvviso riavvicinamento di due persone che hanno elaborato in maniera molto diversa la vita solitaria e la loro separazione.
Nessuno crede alla fine del mondo ma l’argomento tiene banco nei profondi e appassionati discorsi che animano il loro ultimo giorno, da un lato Stacey, perennemente alle prese con i “se” alla Sliding Doors, dall’altro Parker, serenamente fatalista ed in pace con se stessa. Il loro avvicinamento al 21 dicembre riesuma sentimenti e sensazioni inattesi, con complicazioni allegate e appare sempre più chiaro che il cerchio che Stacey sta cercando di chiudere provenga molto più dal suo cuore che dalla minaccia maya.
“Per realizzare questo film” dice Bissett alla platea milanese che vede in anteprima mondiale il suo lavoro “ho la sensazione di avere rubacchiato qualcosa ai registi che amo: Wes Anderson, Paul Thomas Anderson, ma soprattutto Richard Linklater e il suo Prima Dell’Alba”. È vero che This Time Tomorrow deve molto alla bellissima relazione-lampo di Ethan Hawke e Julie Delpy ritratta nel sopraccitato film di Linklater, ma il low-profile di Bissett è la routinaria modestia “di facciata”. Il suo film è una semplice, splendida prova con identità propria, realizzata a zero budget e con un cast composto da attori in erba amici del regista. Incredibile a dirsi perché il film è tecnicamente ineccepibile, diretto in maniera convincente, esaltato da una splendida fotografia che cattura in pieno l’atmosfera della grande metropoli americana, dove pure riescono a convivere l’anonimia globale e l’infinità di intimi e sfaccettati rapporti umani.
Tra questi seguiamo quello di Stacey e Parker, interpretati dai due giovani attori che svolgono il loro compito senza mai una sbavatura, con dialoghi improvvisati (non c’è mai stato un copione a supportare il soggetto di Bissett), carrellate di vita cittadina, musiche suggestive perfettamente associate a sequenze alternate di leggerezza e di sofferenza sentimentale. La messa a fuoco non è sui massimi sistemi e l’amore assoluto, ma sul piano locale, evidenziando il modo di gestire un rapporto e di ricucire le ferite che esso comporta … con l’affascinante spada di Damocle della fine del mondo che, scena dopo scena, diventa quella meno apocalittica ma comunque amara, della definitiva conclusione di un amore.