L’ULTIMA CASA A SINISTRA – Wes Craven
Mari Collingwood, figlia da poco diciassettenne di una tranquilla e agiata famiglia medio borghese, viene rapita insieme all’amica Phillis da una banda di maniaci omicidi. In un turbine di violenza e sevizie le due ragazze perdono prematuramente la vita, lasciando però i propri aguzzini ad un beffardo destino. Nel tentativo di celare le proprie tracce, la banda chiederà asilo all’ultima casa a sinistra, proprio dove i genitori di Mari stanno aspettando disperatamente il suo ritorno.
Dopo il tumultuoso impatto generato da Arancia Meccanica, che metteva a nudo una società votata a una feroce violenza in parallelo con una spietatezza non meno cruenta (ma legittimata) perpetrata dalle istituzioni, a distanza di un solo anno, Wes Craven ci presenta la sua personale visione della bestialità dell’uomo e delle contraddizioni tipiche del suo tempo, facendosi agente veicolare di un chiaro messaggio di denuncia sociale.
La prima scena ci proietta sul passaggio della protagonista da adolescente a donna, con annesse tutte le fantasticherie e aspettative tipiche di quel particolare momento, attorniato dalla serenità di una famiglia classica americana con l’ottusità e i preconcetti di chi ignora ciò che accade al di là della porta di casa. Questo scenario dalle tinte così tenui e artefatte va subito a scontrarsi con la realtà fredda e spietata in cui la ragazza viene scaraventata, una parentesi d’orrore che, per tutta la sua durata, la faranno apparire non solo inerme ma totalmente incapace di concepire una situazione così estranea e brutale.
A fare scalpore fu l’idea del regista di immortalare la pura violenza fine a se stessa a seguito, si dice, della visione di scioccanti filmati sulle violenze perpetrate in Vietnam, e il gusto quasi maniacale nel seviziare un proprio simile per lo specifico gusto di trarne piacere. Le scene di stupro e la costrizione a rapporti saffici sono infatti quanto mai esplicite, motivo per cui la censura la fece da padrone, specie in Gran Bretagna, dove le critiche affiorarono copiose accrescendo ovviamente la curiosità intorno a questo prodotto. Le due ragazze vengono bistrattate come bambolotti, costrette a subire violenze psicologiche così umilianti da risuonare più brutali delle percosse, in un’atmosfera profondamente angosciante resa ancor più surreale dall’insistente primo piano del viso di Mari durante lo stupro … uno sguardo vuoto sulle note di un motivo che pare tracciare un solco malinconico tra quel momento cosi straziante e un’innocenza distrutta.
Questa è solo una delle scene che patì diversi tagli, andando a minare quello che ai i tempi voleva essere uno squarcio su uno dei tanti argomenti in merito ai quali si glissava con fermezza. Nonostante questo, L’ULTIMA CASA A SINISTRA ebbe una risonanza fortissima, motivata anche dall’interpretazione egregia dei tre aguzzini, capaci di perpetrare con una naturalezza raccapricciante delle azioni cosi efferate, come fosse una normale domenica pomeriggio di svago. La ripresa di Sadie intenta a manipolare estasiata gli intestini di una delle vittime, inoltre, è la fotografia esatta di una totale perdita di controllo dove tutto è lecito, a favore di una irrazionalità primitiva.
Ci troviamo di fronte a un nuovo horror che documenta una violenza assolutamente realistica e che, esulando dal suo ruolo tipo, denuncia senza troppi giri di parole l’incapacità delle istituzioni pesantemente ridicolizzate, di impedire non solo l’attuazione di simili crimini ma anche un nuovo concetto di giustizia sommaria.
Il perbenismo imperante di un contesto temporale dove persino il pronunciare la parola “seno” poteva risultare politicamente scorretto, lascia spazio all’istinto naturale di chi, privato brutalmente di un affetto profondo, non esita ad imbracciare il fucile e a commettere per vendetta le stesse atrocità fino a prima tanto biasimate. Ed è qui che il concetto di violenza infrange qualsiasi schema e raziocinio rafforzando la convinzione che, se posti in certe situazioni, non esistono classi sociali né morale, ma solo il primo impulso.
Una pellicola estremamente cruda per un horror non convenzionale, senza dubbio il più dibattuto sotto la regia di Craven.