IL DEMONE SOTTO LA PELLE – David Cronenberg
Il demone sotto la pelle è il terzo lungometraggio di David Cronenberg, cronologicamente successivo ai due film underground Stereo e Crimes of the future, mai degnamente distribuiti.
Proprio l’esigenza di fare del cinema un vero e proprio mestiere spinse il regista canadese verso un cambiamento, ovvero rendere i propri film maggiormente fruibili per un pubblico più ampio senza per questo rinunciare alla propria poetica e alle proprie tematiche . Shivers (titolo originale) è un low-budget che palesa tutte le difficoltà di una produzione povera e di una mano ancora tentennante, ma in cui fermenta vividamente la visione apocalittica e disincantata che l’autore porterà avanti per tutta la carriera, eleggendolo come uno dei personaggi di spicco di quel sottogenere – il new horror – che divenne contenitore di pulsioni di molti nuovi giovani registi degli anni ‘70/’80.
Il film si apre con una sequenza di diapositive accompagnate da una voice over che enfaticamente tratteggia un’apologia delle meraviglie dell’Arca di Noè, complesso residenziale di lusso, completamente autonomo (dotato pure di un ambulatorio medico esclusivo per i residenti) situato su un’isola in mezzo al fiume, “ … ideato per difendervi dalla contaminazione e dai pericoli della città”. L’architettura del residence invita all’analogia morfologica, il corpo umano si rivede nei corridoi rossi e diramati come vasi sanguigni , nelle mille porte e finestre e nei i sotterranei viscerali. L’incipit pubblicitario è una menzogna, il residence sta per essere contaminato appunto perché è il luogo stesso – come il corpo umano – la culla ideale per il virus.
Il cinema non mente e, attraverso l’occhio onnisciente dello spettatore, svela subito la falsità delle diapositive iniziali. In una stanza del complesso, un uomo si avventa su una giovane donna, la sventra e poi si uccide. Poco dopo scopriamo che l’assassino è il dottor Hobbes, scienziato ideatore di un virus inizialmente progettato per svolgere la funzione di impedire il trapianto di organi. Il gesto risulta vano perché ormai è troppo tardi, la ragazza, nonché sua amante, ha già dato inizio all’epidemia attraverso rapporti sessuali con altre persone. Nicholas Tudor – uno degli inquilini – avverte uno strano gonfiore al ventre, così come un altro paziente visitato dal dottor St. Luc, a cui confessa di aver fatto sesso con la ragazza morta. Il contagio si propaga celermente e il parassita elimina nel suo ospite ogni freno inibitorio, spingendo le persone verso la libido più sfrenata, fatta di incesti, omosessualità, pedofilia ed orge. Il dottor St. Luc, aiutato dalla propria infermiera e amante tenta fino all’ultimo di sfuggire all’epidemia …
Attraverso l’intrusione corporea, ogni orifizio, ogni contatto, diviene terreno fertile per il contagio. Cronenberg gioca con la m.d.p. penetrando spazi e corpi, regalandoci una visione quasi tattile ed eccitata, ma non solo: gioca anche con i nostri istinti. Il non-visto genera l’attesa e lo spettatore finisce per farsi attrarre dal proibito, dall’eccesso. Il pansessualismo dilaga, portando alla luce il punto di vista del regista: critica sociale? Sfiducia nell’uomo? Forse, ma più che una vessazione all’umanità pare un’analisi algida e distaccata della polarità razionalità/istinto. La società, attraverso le sue convenzioni, pare essere un sistema di falsità, ma l’uomo non può sfuggire alla sua natura, che – nella visione disillusa del regista – è destinata ad emergere. Ed è questo il vero nodo della pellicola. L’autore non prende una posizione, non cerca di comunicarci cosa sia giusto e cosa no. Semplicemente ci mette a nudo davanti a noi stessi. L’anima del film sta proprio in quella strana sensazione pruriginosa per cui avvertiamo che in fondo quello che vediamo ci è in qualche modo affine, che in ognuno di noi c’è qualche desiderio animalesco castrato, che desideriamo finire di vedere la scena ma che per l’opinione che abbiamo creato di noi stessi avvertiamo questa pulsione come sbagliata, provando un live disagio . Il corpo, come sempre nel cinema di Cronenberg, è al centro di tutto, diviene il soggetto, il mezzo e anche lo scopo.
II parassita è indebellabile appunto perché siamo proprio noi a nutrirlo: fallico e viscerale, entra ed esce dal corpi a suo piacimento, invogliandoci verso questo sguardo sottilmente contaminato da fascinazione e disgusto. L’orgiastica scena finale, al ralenti nella piscina, rappresenta al meglio l’ineluttabilità della propagazione di un virus che alberga dentro di noi, ramificandosi come la struttura del film stesso. Il dottor St Luc è stato contagiato, come tutti gli altri. All’alba gli inquilini si mettono in viaggio verso la città, come nulla fosse, pronti a far proliferare il parassita, mentre dalla radio sentiamo una voce che ci racconta, come all’inizio del film, un’altra menzogna a cui in fondo tutti noi preferiamo credere:
“La città sta ritornando come sempre alla sua vita quotidiana, per nulla turbata dalle voci di pretese violenze, orge e crimini a carattere sessuale che si sarebbero svolti da ieri nel centro residenziale detto l’Arca di Noè dopo il delitto-suicidio sul quale la polizia continua ad indagare. Queste voci sono state dichiarate irresponsabili ed infondate da parte di un esponente della polizia. Gli abitanti dell’Arca di Noè escono normalmente per riprendere le loro vite normali nelle più normali delle condizioni, sono gli uomini e le donne di sempre , quelli che conosciamo, come me e tutti voi.”
La regia de Il demone sotto la pelle appare quanto mai asciutta e “classicista”, sbaglia chi parla di un film visivamente violento. La m.d.p solletica spesso l’immaginazione ma quasi mai ci pone di fronte ad immagini crude o violente, quanto –per l’appunto- alla sollecitazione di un aspettativa di visione di esse. Un film che non deve per forza piacere, ma di cui consiglio assolutamente la visione, specie per chi non vuole farsi sfuggire l’occasione di percorrere la filmografia di uno dei cineasti più onesti e coerenti dell’intera storia del cinema.