DAGON – Stuart Gordon
Una vacanza in barca tra amici viene improvvisamente scossa da un violento nubifragio che costringe la coppia ospite, formata da Paul e Barbara, a cercare aiuto e riparo nel paese più prossimo, approdando così presso Inboca, località sulla costa Spagnola, apparentemente priva di particolare interesse, se non un terribile segreto celato nella storia di ogni suo abitante.
Dopo il discreto Re-animator della metà degli anni ottanta, ritroviamo Stuart Gordon alle prese con Lovecraft e le sue grottesche creature questa volta con Dagon – La mutazione del male, produzione nata nel 2001 dalla fusione di due racconti del celebre scrittore statunitense, per l’appunto Dagon e La maschera di Innsmouth di cui quest’ultimo, tra i due, ha dato senz’altro l’impronta più significativa alla sceneggiatura. Iniziamo dicendo che al regista va il merito di aver trasposto piuttosto egregiamente alcune connotazioni tipiche dell’universo Lovecraft, nota solitamente dolente per chi si appresta a destreggiarsi con le sue opere. Sebbene, infatti, la pellicola non rispetti la totale assenza di presenza femminile all’interno del racconto da cui essa trae ispirazione, assaporiamo l’idea tipica di una sessualità negativa e malsana, dove creature ultraterrene si uniscono intimamente ad esseri umani dando solitamente alla luce orrendi mostri che vanno a minare le fondamenta già scricchiolanti di un’umanità in declino.
Questa totale mancanza di fiducia nell’uomo è resa con assoluta chiarezza: i protagonisti infatti per quanto stringano alleanze tra loro e cerchino disperatamente la strada della verità, sono in balia di eventi che non riescono a controllare e che finiscono per ritorcersi contro miseramente. Il destino è il padrone assoluto della scena, un fato collegato inesorabilmente a legami di sangue che nessuna azione è in grado di convertire, perchè non si può cambiare ciò che si è, e il nostro protagonista finirà presto per rendersene conto. Paul è una sorta di anti eroe, un goffo Peter Parker dei poveri ,che finisce per guadagnarsi la simpatia dello spettatore non per le sue debolezze o la timidezza tipica dell’appena citato uomo ragno, ma per la sua totale mancanza di tempismo, intuizione e scaltrezza, un completo disastro ambulante che va ad avvalorare la tesi dello sconfinato pessimismo terreno insito in Lovecraft, oltre che regalare più di qualche sorriso.
In netta opposizione c’è Inboca, che all’interno di ogni dinamica pare abbia con i suoi abitanti il costante sopravvento sulla scena e il pieno controllo sugli invasori venuti dalla terra ferma. Il trapasso in corso da uomo a creatura marina è reso in modo molto realistico, in quanto gli abitanti non sono solo osteggiati da una crescente mutazione fisica, che rendendoli storpi ne affatica i movimenti avvicinandoli sempre di più alla vita negli abissi, ma soffrono di un’evidente demenza frutto dell’allontanamento da condizione di uomo-pensante a uomo-pesce. Lo sfondo è egualmente in decadimento, la pioggia sovrasta il paese con il suo cielo plumbeo, gli interni sono devastati da sporcizia e marciume, fango e umidità avvicinano sempre più inesorabilmente le due dimensioni una volta cosi lontane. Inboca non è solo una comunità di mutanti o presunti tali, ma una vera e propria setta accecata dal cieco servilismo verso il proprio dio, una sorta di abissale ignoranza che ne corrode ragione e sentimenti. Per questo l’orrore risiede non tanto nella malformazione fisica cui sono soggetti ma in quella emotiva ed intellettiva.
Una menzione d’obbligo va ad Francisco Rabal, morto poco dopo la fine delle riprese e al quale il film è dedicato, noto attore del cinema spagnolo che con l’interpretazione del suo Ezequiel ci porta alla scoperta di una comunità di pescatori una volta liberi da ambizione e avidità, con i propri usi e la speranze in un domani più prospero che si rivelerà la propria rovina. Interpretazione generosa e commovente che ha il suo culmine drammatico nella scena della sua dipartita, la più violenta e se vogliamo l’unica carica di una valenza orrorifica in un prodotto dai risvolti prettamente fantastici.
Non ci troviamo innanzi a un capolavoro ma senza dubbio a un prodotto piacevole che difficilmente annoia e la cui scorrevolezza non subisce mai intoppi. La dimensione del sogno che riveste con luci ed ombre una sorta di incubo ad occhi aperti accresce, unito alla costante ricerca di fuga dei protagonisti, un’ansia costante che pare non debba mai finire nemmeno quando sopraggiungono i titoli di coda. Un impianto semplice ma coerente e ben sviluppato. Per una serata senza troppe pretese.
Regista: Stuart Gordon
TRAMA
Una vacanza in barca tra amici viene improvvisamente scossa da un violento nubifragio, che costringe la coppia ospite, formata da Paul e Barbara, a cercare aiuto e riparo nel paese più prossimo, approdando così presso Inboca, località sulla costa Spagnola, apparentemente priva di particolare interesse, se non un terribile segreto celato nella storia di ogni suo abitante.
RECENSIONE
Dopo il discreto “Re-animator” dell’85, ritroviamo Stuart Gordon alle prese con Lovecraft e le sue grottesche creature questa volta con ”Dagon – La mutazione del male”, produzione nata nel 2001 dalla fusione di due racconti del celebre scrittore statunitense, per l’appunto “Dagon” e “La maschera di Innsmouth” di cui quest’ultimo tra i due diede senz’altro l’impronta più significativa alla sceneggiatura. Iniziamo dicendo che al regista va il merito di aver trasposto piuttosto egregiamente alcune connotazioni tipiche dell’universo Lovecraft, nota solitamente dolente per chi si appresta a destreggiarsi con le sue opere. Sebbene infatti la pellicola non rispetti la totale assenza di presenza femminile all’interno del racconto da cui essa trae ispirazione, assaporiamo l’idea tipica di una sessualità negativa e malsana, dove creature ultraterrene si uniscono intimamente ad esseri umani dando solitamente alla luce orrendi mostri che vanno a minare le fondamenta già scricchiolanti di un’umanità in declino. Questa totale mancanza di fiducia nell’uomo è resa con assoluta chiarezza, i protagonisti infatti per quanto stringano alleanze tra loro e cerchino disperatamente la strada della verità, sono in balia di eventi che non riescono a controllare e che finiscono per ritorcersi loro contro miseramente. Il destino è il padrone assoluto della scena, un fato collegato inesorabilmente a legami di sangue che nessuna azione è in grado di convertire, perchè non si può cambiare ciò che si è, e il nostro protagonista finirà presto per rendersene conto. Paul è una sorta di anti eroe, un goffo Peter Parker dei poveri che finisce per guadagnarsi la simpatia dello spettatore non per le sue debolezze o la timidezza tipica dell appena citato uomo ragno, ma raccoglie il favore del pubblico per la sua totale mancanza di tempismo, intuizione e scaltrezza, un completo disastro ambulante che va ad avvalorare la tesi dello sconfinato pessimismo terreno insito in Lovecraft, oltre che regalare più di qualche sorriso qua e la.
In netta opposizione c’è Inboca, che all’interno di ogni dinamica pare abbia con i suoi abitanti il costante sopravvento sulla scena e il pieno controllo sugli invasori venuti dalla terra ferma. Il trapasso in corso da uomo a creatura marina è reso in modo molto realistico, essi non sono solo osteggiati da una crescente mutazione fisica, che rendendoli storpi ne affatica i movimenti avvicinandoli sempre di più alla vita negli abissi, ma soffrono di un’evidente demenza frutto dell’allontanamento da condizione di uomo pensante a uomo pesce, dove la ragione sta venendo meno. Lo sfondo è egualmente in decadimento, la pioggia sovrasta il paese con il suo cielo plumbeo, gli interni sono devastati da sporcizia e marciume, fango e umidità avvicinano sempre più inesorabilmente le due dimensioni una volta cosi lontane. Inboca non è solo una comunità di mutanti o presunti tali, ma una vera e propria setta accecata dal ceco servilismo verso il proprio dio, una sorta di abissale ignoranza che ne corrode ragione e sentimenti, per questo l’orrore risiede non tanto nella malformazione fisica cui sono soggetti ma in quella emotiva ed intellettiva.
Una menzione d’obbligo va ad Francisco Rabal, morto poco dopo la fine delle riprese e al quale il film è dedicato, noto attore del cinema spagnolo che con l’interpretazione del suo Ezequiel ci porta alla scoperta di una comunità di pescatori una volta liberi da ambizione e avidità, con i propri u
Paese: Spagna,2001
Regista: Stuart Gordon
TRAMA
Una vacanza in barca tra amici viene improvvisamente scossa da un violento nubifragio, che costringe la coppia ospite, formata da Paul e Barbara, a cercare aiuto e riparo nel paese più prossimo, approdando così presso Inboca, località sulla costa Spagnola, apparentemente priva di particolare interesse, se non un terribile segreto celato nella storia di ogni suo abitante.
RECENSIONE
Dopo il discreto “Re-animator” dell’85, ritroviamo Stuart Gordon alle prese con Lovecraft e le sue grottesche creature questa volta con ”Dagon – La mutazione del male”, produzione nata nel 2001 dalla fusione di due racconti del celebre scrittore statunitense, per l’appunto “Dagon” e “La maschera di Innsmouth” di cui quest’ultimo tra i due diede senz’altro l’impronta più significativa alla sceneggiatura. Iniziamo dicendo che al regista va il merito di aver trasposto piuttosto egregiamente alcune connotazioni tipiche dell’universo Lovecraft, nota solitamente dolente per chi si appresta a destreggiarsi con le sue opere. Sebbene infatti la pellicola non rispetti la totale assenza di presenza femminile all’interno del racconto da cui essa trae ispirazione, assaporiamo l’idea tipica di una sessualità negativa e malsana, dove creature ultraterrene si uniscono intimamente ad esseri umani dando solitamente alla luce orrendi mostri che vanno a minare le fondamenta già scricchiolanti di un’umanità in declino. Questa totale mancanza di fiducia nell’uomo è resa con assoluta chiarezza, i protagonisti infatti per quanto stringano alleanze tra loro e cerchino disperatamente la strada della verità, sono in balia di eventi che non riescono a controllare e che finiscono per ritorcersi loro contro miseramente. Il destino è il padrone assoluto della scena, un fato collegato inesorabilmente a legami di sangue che nessuna azione è in grado di convertire, perchè non si può cambiare ciò che si è, e il nostro protagonista finirà presto per rendersene conto. Paul è una sorta di anti eroe, un goffo Peter Parker dei poveri che finisce per guadagnarsi la simpatia dello spettatore non per le sue debolezze o la timidezza tipica dell appena citato uomo ragno, ma raccoglie il favore del pubblico per la sua totale mancanza di tempismo, intuizione e scaltrezza, un completo disastro ambulante che va ad avvalorare la tesi dello sconfinato pessimismo terreno insito in Lovecraft, oltre che regalare più di qualche sorriso qua e la.
In netta opposizione c’è Inboca, che all’interno di ogni dinamica pare abbia con i suoi abitanti il costante sopravvento sulla scena e il pieno controllo sugli invasori venuti dalla terra ferma. Il trapasso in corso da uomo a creatura marina è reso in modo molto realistico, essi non sono solo osteggiati da una crescente mutazione fisica, che rendendoli storpi ne affatica i movimenti avvicinandoli sempre di più alla vita negli abissi, ma soffrono di un’evidente demenza frutto dell’allontanamento da condizione di uomo pensante a uomo pesce, dove la ragione sta venendo meno. Lo sfondo è egualmente in decadimento, la pioggia sovrasta il paese con il suo cielo plumbeo, gli interni sono devastati da sporcizia e marciume, fango e umidità avvicinano sempre più inesorabilmente le due dimensioni una volta cosi lontane. Inboca non è solo una comunità di mutanti o presunti tali, ma una vera e propria setta accecata dal ceco servilismo verso il proprio dio, una sorta di abissale ignoranza che ne corrode ragione e sentimenti, per questo l’orrore risiede non tanto nella malformazione fisica cui sono soggetti ma in quella emotiva ed intellettiva.
Una menzione d’obbligo va ad Francisco Rabal, morto poco dopo la fine delle riprese e al quale il film è dedicato, noto attore del cinema spagnolo che con l’interpretazione del suo Ezequiel ci porta alla scoperta di una comunità di pescatori una volta liberi da ambizione e avidità, con i propri usi e la speranze in un domani più prospero che si rivelerà la propria rovina. Interpretazione generosa e commovente che avrà il suo culmine drammatico nella scena della sua dipartita, la più violenta e se vogliamo l’unica carica di una valenza orrorifica in un prodotto dai risvolti prettamente fantastici.
Non ci troviamo innanzi a un capolavoro ma senza dubbio ad un prodotto piacevole che difficilmente annoia e la cui scorrevolezza non subisce mai intoppi. La dimensione del sogno che riveste con luci ed ombre una sorta di incubo ad occhi aperti, accresce unito alla costante ricerca di fuga dei protagonisti, un’ansia costante che pare non debba mai finire fino ai titoli di coda, un impianto semplice ma coerente e ben sviluppato.
Per una serata senza troppe pretese.
si e la speranze in un domani più prospero che si rivelerà la propria rovina. Interpretazione generosa e commovente che avrà il suo culmine drammatico nella scena della sua dipartita, la più violenta e se vogliamo l’unica carica di una valenza orrorifica in un prodotto dai risvolti prettamente fantastici.
Non ci troviamo innanzi a un capolavoro ma senza dubbio ad un prodotto piacevole che difficilmente annoia e la cui scorrevolezza non subisce mai intoppi. La dimensione del sogno che riveste con luci ed ombre una sorta di incubo ad occhi aperti, accresce unito alla costante ricerca di fuga dei protagonisti, un’ansia costante che pare non debba mai finire fino ai titoli di coda, un impianto semplice ma coerente e ben sviluppato.
Per una serata senza troppe pretese.
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