MORITURIS – Raffaele Picchio
Tre giovani rampolli della media borghesia romana viaggiano in auto, in compagnia di due giovani turiste venute dall’est: destinazione un rave, organizzato nel mezzo di un bosco. Tutto sembra procedere per il verso giusto, il viaggio dà modo ai giovani di rompere il ghiaccio e il tempo svela un feeling tra i due dei giovani protagonisti.
La degna conclusione di un piacevole viaggio sarà, però, il ritrovarsi da soli in un luogo sconosciuto. Nel bosco nessuna traccia del rave party: il più assoluto silenzio rimbomba dagli amplificatori di Madre Natura, mentre l’unica luce accesa per rischiarare la location è la luna. Non resta che imbastire un fuoco da campo e arrendersi all’evidenza: il posto della festa era forse un altro … o qualcuno ha deciso di giocar loro un brutto scherzo. Nonostante l’iniziale scoramento, però, la delusione per un rave mancato si trasforma in una serata piacevole tra amici tanto che un’atmosfera quasi fatata li avvolge.
Ma qualcosa si muove nell’ombra, nel film firmato da Raffaele Picchio, qui al suo primo lungometraggio, qualcosa di malvagio ed enormemente pericoloso, armato sino ai denti e con un irrefrenabile desiderio di far ritornare il glaciale silenzio all’interno del bosco. Potrebbero sorgere dei dubbi approcciandosi a un horror come Morituris, scritto da Gianluigi Perrone, se non altro perché provando a immaginare una banda di gladiatori redivivi che inizia a macellare alla meglio dei giovani sventurati, non si riesce proprio a immaginarlo come fonte di nuova linfa vitale per l’horror made in Italy. L’idea di questi energumeni in decomposizione, non rassegnati alla morte corporale, potrebbe addirittura suscitare immagini fin troppo ilari.
Vero, ma solo fino a qualche secondo prima di averli visti, perché i gladiatori non morti di Morituris sono gioia per gli occhi dell’appassionato. Creature senza identità, ma allo stesso tempo concrete, inquietanti e (senza dubbio) molto pericolose. Curatissimi i costumi di scena: armature spigolose e armi d’epoca davvero “dolorose da guardare”. Proprio il dolore è il sentimento che più scaturisce dal film [prima ancora della paura]: l’empatia del dolore riesce a instaurare un solido ponte di comunicazione tra pubblico e personaggi, e un contatto così intimo fa già di Morituris un film riuscito.
Ma non basta, perché il film di Picchio riesce a elevarsi al di sopra di altre pur valenti produzioni indipendenti made in Italy grazie alla qualità con cui ogni aspetto del film è stato curato: non solo lo script, essenziale ma dannatamente traditore e dai ritmi mai sottotono, non solo per le giuste creature richiamate dall’inferno [che sono di certo un più che sufficiente biglietto da visita], ma anche un’ottima regia, attori sempre credibili, nonostante le situazioni spesso spingano sul pedale dell’exploitation e, finalmente, un audio degnamente lavorato. Morituris riesce a non tradire quel senso di “indipendenza” che troppo spesso sborda nell’amatoriale.
Alla sceneggiatura più cruda scritta in Italia negli ultimi anni, si affianca una regia che non ha paura di mostrare, che sfida lo sguardo dello spettatore, coadiuvato dagli effetti speciali di Sergio Stivaletti. Il senso di freddo realismo viene calato all’interno di un’identità tradizionale tipicamente italiana, e avvolto nella ammalianti scenografie [naturali e non]. Le carte in tavola ci sono tutte, speriamo davvero in un futuro distributivo di tutto rispetto, per uno dei migliori horror italiani della nuova era.