FEED – Brett Leonard
Michael Carter gestisce un sito internet dove, dietro pagamento, è possibile spiare donne grasse distese su un letto a cui viene continuamente dato da mangiare da un “nutritore”. Phillip Jackson è un poliziotto che scova siti web a rischio pedofilia e che si imbatte nell’anomala area virtuale. Michael ha un passato distrutto dalla sottomissione alla madre obesa, ha sempre vissuto in un dedalo di luce e ombra, frastornato dalle eccessive attenzioni richieste dalla donna.
Phillip è reduce da un caso in cui un uomo ha lasciato volontariamente cibare altri col suo corpo, ghermito dalle drammatiche esperienze lavorative trascura la sua ragazza, sfogando su di lei i suoi istinti più animaleschi. Anch’egli subisce le conseguenze di un passato burrascoso a causa di una madre infedele e di un padre oltremodo severo. Il detective si lancia sulle tracce del sospetto agendo al di fuori dei ranghi stabiliti dalla legge, scoprendo che sul sito si scommette sulla data di morte delle sventurate obese, ma è Michael a reggere le fila dei burattini, ai quali si aggiungerà suo malgrado Phillip.
Altalenante. Non c’è termine più adeguato per descrivere questo nuovo lavoro di Brett Leonard, esperto della rete dopo i primi esperimenti col dozzinale Il Tagliaerbe, stavolta non più raffiguratore del cyberspazio come una chimera alla portata di tutti, capace di convogliare milioni e milioni di utenti distanti migliaia di chilometri lungo una unica linea nevralgica, ma come un animale che fagocita ogni sorta di immondizia per poi vomitarla al consumatore.
L’evoluzione come inglobamento di ogni sorta di sensazione e di materia, come produzione e consumo immediato perpetrando razzie contro tutto ciò che è esterno, estraneo al proprio corpo. Scatta un meccanismo contraddittorio in cui la donna grassa è felice della sua condizione anche se non può muoversi dal suo giaciglio, anche se è cosciente di rischiare un infarto ad ogni istante della sua vita, anche se è totalmente subalterna verso il nutritore (una persona esterna). Si sente viva estrapolandosi dal culto dell’immagine, inghiottendo la propria libertà fisica per la benignità della propria condizione interiore. E’ schiava ma al contempo non lo è più.
Michael sfoga la sua malasorte pre-adolescenziale in una perpetua tortura ai danni di donne che vestono i panni della madre ma lo fanno coscienziosamente, convinte di essere amate. Tuttavia il nutritore le ama come fossero veramente sue genitrici, odiandole al contempo per avergli inflitto tutta quella pena. Anche il farle cibare del grasso dei corpi delle precedenti vittime rappresenta un modo per continuare quell’insano processo a catena di reincarnazione dello spirito che dalla prima vittima (la madre) si aggancia all’ultima (Deirdre). Sono dicotomie dell’essere umano che ignoriamo quando guardiamo il nostro stesso io, ma che siamo sempre pronti ad additare ad altri. Il voyeurismo simbolo di una perversione talmente radicata nelle nostre cellule, da nascondersi amabilmente sotto lembi di pelle, un veleno capace di scorrere nel nostro stesso sangue che rischia di sprizzare fuori alla prima ferita (come avviene a Michael) o dopo ripetute penitenze (come invece a Phillip).
Questa la materia scottante con cui si è voluto confrontare il regista riuscendo, come già detto, solo in parte nell’intento. Questo perché il montaggio frenetico, i dialoghi serrati e specialmente la imprevedibilità degli eventi riescono a trafiggere e scombussolare chi guarda la pellicola, ma d’altra parte certe ridicolaggini (in buona parte il finale per esempio), una incompleta caratterizzazione dei personaggi, la sceneggiatura non sempre brillante e delle scelte registiche di cattivo gusto dilatano il dramma in un pantano dove le pietre giacciono inerti sul fondo. Tematiche pesanti come macigni ma immerse in una pozza troppo scura per essere studiata adeguatamente. Interessante, ma fondamentalmente Feed è una buona occasione perduta.