KNIGHT OF CUPS – Terrence Malick
Ogni film di Terrence Malick, in qualche modo, ruota intorno a quelli che sono i momenti centrali della vita: nascita, crescita e morte. In Knight of cups, a differenza delle sue altre pellicole, sembra quasi voler concentrare questi momenti insieme, soffermandosi solo sul microcosmo, senza avere l’ambizione di farlo esplodere fino agli estremi confini dell’universo.
Troviamo Rick (Christian Bale), autore di commedie, in crisi per via della morte del fratello Billy, la cui vita è stata squarciata dalla lama del senso di colpa. Rick è anche un uomo già da tempo completamente alla deriva, alla ricerca di un porto franco dove approdare. Si perde avanti e indietro per le spiagge di Santa Monica tra un set e un altro, tra party fuori di testa e donne bellissime, in un’apparente bellezza che altro non è che accecante bagliore così forte dal celare un animale in gabbia, piuttosto che un navigatore in cerca di terra. La morte di Billy ha portato sconforto anche nella vita del padre Joseph (Brian Dennehy) e dell’altro fratello Barry (Wes Bentley), trasferitosi a Los Angeles dal Missouri e in piena crisi esistenziale, capace di raggiungere picchi di rabbia, soprattutto verso Joseph.
Ciò che è mostrato su schermo sembra una sorta di documentario di quasi due ore dove Malick inquadra scene di vita privata di Rick, rubandole con il suo obiettivo preciso come un bisturi e fermandole nel tempo in una cornice meravigliosamente fotografata. Inoltre l’uso eccessivo del grandangolo distorce ulteriormente le situazioni che Rick vive, come se non fossero sufficienti gli eventi tormentati della sua vita, in una iniezione di completa depressione e sfiducia nel genere umano. Le donne danno unico respiro a questa solitudine cosmica, bellissime quanto malinconiche, intersecano la sua vita senza lasciare segno sul corpo di un uomo apparentemente impermeabile a tutto, alla gioia, al dolore, al successo, ai fallimenti. E’ solo ma più che altro soffre di solitudine.
Knight of cups è diviso in tredici parti, quanti sono gli arcani maggiori dei tarocchi, in un tocco di misticismo che sembra ammiccare verso temi cari a Jodorowski, pur non avendo lo stesso approccio mistico. La stessa regia di Malick sembra troppo distante, fredda, senza vita, imbalsamata in tematiche ridondanti, con un senso di deja-vu che corre dietro l’angolo, nonostante una narrazione supportata da immagini meravigliose … ma fin troppo rigonfie di retorica.
Terrence Malick dovrebbe provare semplicemente a narrare una storia, arrivando al fulcro della stessa senza perdersi in ostentati quanto finti barocchismi.
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