BLACKHAT – Michael Mann
Una centrale nucleare subisce l’assalto di un attacco hacker, generando echi di paura e stupore che deflagrano ulteriormente nel momento in cui la borsa di Chicago subisce un altro attacco, che spinge verso l’alto il valore della preziosissima soia. Per scoprire l’identità dell’hacker ne viene assoldato un altro, Nick Hathaway (Chris Hemsworth), attualmente rinchiuso in carcere.
Michael Mann ha diretto alcuni dei più bei thriller dalle sfumature noir (dalle tinte drammatiche) della storia del cinema, e non solo. Era il 1986 quando incuriosiva e stupiva con Manhunter – Frammenti di un omicidio e, specialmente, era il 1995 quando rilasciava Heat – La sfida, suo culmine più alto (e mai raggiunto), uno spaccato thriller dannatamente malinconico dove la pur intrigante trama non era altro che un pretesto per mostrare dolore, paura, amore attraverso gli occhi ed i corpi dei protagonisti. A vent’anni di distanza il regista prosegue sulla sua strada e continua ad interessarsi ai caratteri che mette in scena più che alla trama vera e propria, ecco perché Blackhat come capacità di interessare per il realismo o per gli intrecci della trama non ha chance di (con)vincere. E stavolta, purtroppo, la presenza di Chris “devo essere figo ad ogni inquadratura” Hemsworth non aiuta ad esaltare gli aspetti più umani della vicenda. Se a tutto ciò aggiungiamo un discutibile utilizzo del digitale, ci siamo subito tolti di mezzo i non indifferenti aspetti negativi.
Per il resto Blackhat è un film di Michael Mann. Un film metropolitano costituito da riprese crepuscolari della città, tappeti di sintetizzatore, inquadrature dei volti dei protagonisti, momenti di silenzio prima della tragedia e secondi di amore rubati da tende scostate. Solo nei pressi della diga, Mann sembra volerci mostrare un cielo azzurro in una distesa ariosa, il resto è cupa desolazione, sono i corpi di Lien Chen (Tang Wei) e Hathaway che si sfiorano, si cercano, si allontanano sperando di ritrovarsi. Incompleto.
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