MONSTER FROM GREEN HELL – Kenneth G. Crane
Lo scienziato Quent Brady (Jim Davis) è un vero amico degli animali, difatti ne spedisce qualcuno nello spazio per testare gli effetti delle radiazioni cosmiche. Il risultato sarà una enorme ed incazzatissima vespa gigante che atterra sulle coste africane, seminando terrore e morte tra le popolazioni locali.
In breve il plot di questa raffazzonatissima pellicola realizzata con materiale di recupero ripescato da documentari di branchi di elefanti e gazzelle all’abbeverata, animazioni a passo uno di un ridicolo vespone di cartapesta rassomigliante più ad un moscone (l’entomologia doveva essere una branca sconosciuta negli anni ’50 in america almeno per quanto riguarda gli addetti agli effetti speciali). Un monster movie fra i più ridicoli ch’io abbia mai visto, con attacchi di indigeni ai danni della spedizione del dottor Brady, rubati praticamente da Stanley and Livingstone (1939). La parte centrale del film vede gli scienziati americani che, nell’intento di raggiungere l’accampamento del Dr. Lorentz (Vladimir Sokoloff) devono affrontare il sole africano e le piogge torrenziali, pozze d’acqua avvelenate e fatiche inumane. La cosa divertente è che dopo averci fatto vedere le indicibili fatiche nel raggiungere il campo con un gruppo di portantini neri che trasportano materiale scientifico, cosa ci fa trovare al campo il regista, colpevole dell’opera ovvero il sedicente Kenneth G. Crane? Un pianoforte! Si avete capito bene, la figlia del dottor Lorentz (Barbara Turner) si mette a suonare un piano in una capanna nella foresta! Si resta basiti se si pensa a quanti sacrifici sia costato ai poveri indigeni il trasporto di codesto strumento. Del resto la pellicola ha più di una connotazione razzista e colonialista tipica dell’epoca.
Il Dr. Brady sviene travolto dalle fatiche ma, appena riavutosi dal trauma, il suo collega (Robert Griffin) gli accende subito una bella sigaretta. La ragazza passa il tempo a coprirsi il volto con il petto dell’aitante scienziato (ed è pure sdentata, come ci illustra un bel primo piano di questa negatissima attrice), poi il moscone lotta con un serpente di gomma: ogni tanto l’insetto sembra alto come un palazzo ma può venir strangolato da un normalissimo boa constrictor dal momento che, per tutto il film, non ci è dato di capire le esatte dimensioni della creatura. In tutto questo il finale celebra la distruzione del mostro e della sua progenie con un’eruzione del vulcano sotto il quale la vespa gigante ha avuto la malaugurata idea di andare a fare le uova. Questo per concludere spettacolarmente quest’indegna gazzarra in bianco e nero con una serie di riprese di repertorio allietate in sottofondo dallo stridio sofferente dell’ape, che assomiglia tanto al verso di un maiale!
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