PAPAYA DEI CARAIBI – Joe D’Amato
Nonostante all’estero sia uscito col titolo Papaya, la dea dei cannibali, questo mirabile esempio del periodo esotico-core di Joe D’Amato, non ha niente a che vedere col cannibal movie. A parte la prima scena, dove Papaya (Melissa Chimenti), splendida e sensuale creola dagli occhi profondi, seduce ed evira a morsi un ricercatore bianco.
La trama ruota su un’organizzazione di popolani caraibici sloggiati da un villaggio per fare posto ad una centrale nucleare. Questa sorta di società segreta, dedita a riti orgiastici e ad organizzare rapimenti di scienziati impiegati nella costruzione della centrale, cattura anche Vincent (Maurice Poli), geometra della centrale, e Sara (Sirpa Lane, la protagonista di La Bestia, nel suo periodo di riflusso italiano), giornalista intraprendente con la passione per i combattimenti dei galli. Circuiti dalla bella Papaya, i due vengono avvolti in un mondo magico e misterioso di cui Sara diviene parte integrante, subito dopo aver scoperto di amare alla follia la meravigliosa mulatta.
La trama cerca sviluppi da spystory con inseguimenti di ragazzini, omicidi rituali, sesso e tanto delirio. In realtà appare chiaro che il tutto è incentrato sul pretesto di mostrare più nudità possibile, nonostante, questo di D’amato, non è neanche il più spinto dei film. Bisogna però riconoscergli di aver sposato una causa, una volta tanto ecologista, che si potrebbe tradurre in una frase citata da uno dei nativi: “Noi non abbiamo bisogno di centrali nucleari, abbiamo il sole, il mare e l’amore e questo ci basta!”
Certo non deve essere stata una bella pubblicità per i movimenti antinucleari vedere un gruppo di indigeni intenti a sedurre e uccidere gli stranieri invasori, ma Papaya dei Caraibi tratta anche argomenti di grande attualità che si (con)fondono con splendidi corpi che si uniscono in copula e paesaggi caraibici, in un pastiche dopotutto scorrevole e divertente. Ancora una volta si deve storcere il naso nel vedere maiali sbudellati in modo assolutamente gratuito (anche se, almeno qui, sono morti prima delle riprese).
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