ANGELI PERDUTI – Wong Kar-wai
Il torbido legame tra una procacciatrice di omicidi e un killer senza scrupoli. Poco più in là l’amore sconnesso di un ragazzo muto per una donna che scomparirà senza lasciar traccia. Seduzione, crimine e bizzarri scherzi del destino. Un film imprevedibile, di forte impatto emotivo. Sullo sfondo una Hong Kong spettrale e deserta.
Nessuno mai l’aveva pensato, che gli angeli potessero vivere il proprio tormento nel romanticismo di una metropoli desolata. In essa cemento e luci al neon, oltre ad essere a disposizione di vissuti che inconsapevolmente camminano paralleli, accompagnano in quella silenziosità quasi friedrichiana, l’azione di creature dove l’unico rumore è la loro voce fuori campo.
La città, agglomerato e luogo di tutti dove s’intuiscono i disagi di chi, per un motivo o per un altro, viene per incontrarsi/scontrarsi. Nella pellicola assume una strana pausa suburbana che focalizza i propri colori elettrici sulle vite (quasi certamente a senso unico) di personaggi che nella loro storia affrontano il quotidiano senza progetti, senza una specifica destinazione; persi in una bellezza conscia ma tralasciata per seguire il flusso disorientato del vento.
Wong Kar-wai, nel suo Fallen Angels, isola e vaneggia quella lontananza mentre decanta tanto fascino e tratteggia quelle esistenze unicamente nel particolare o quando fa accorgere, quasi sempre, quel bisogno costante e infaticabile di avvicinarsi l’uno all’altro. Magari per amore o semplicemente per vivere una notte. Notare quanto il quotidiano, purtroppo, presenti i suoi freni e le sue scelte spesso condizionate, e ci mette davanti al fatto che non si può sempre avere un atteggiamento sportivo nei confronti di un rifiuto ma si cerca una conseguenza vendicativa, da punire non c’è dubbio ma anche da tollerare, tralasciando alle volte ciò che è giusto (o non).
Se soltanto potessimo pensare un po’ più spesso (ci riferiamo a una delle scene più significative del film) a quella donna che nella solitudine rossa di un locale vuoto inserisce una moneta nel jukebox per ascoltare “Dimenticami”, sono convinto che (allo specchio) ci riconosceremmo, pensando: perché quell’uomo, quel giovane killer pigro e solitario, quest’unica parola non gliel’ha detta in quel momento?
Anche se siamo animali consapevoli della nostra esistenza non ci pensiamo. Ci abbandoniamo nel presente lasciandoci andare e allora, nel nostro incanto, perdiamo quell’esistere responsabile che trova un senso anche nelle condizioni più miserabili. Kar-wai in questo film divide i suoi racconti in piccoli spazi affollati e in grandi spazi vuoti che con un pizzico di follia, in connessione con un’equa ironia, ci spiega a parole sue quel vivere odierno, notturno e forse un po’ lontano dalla mitomania patinata occidentale, ricercando il suo percorso altrove. Il regista riesce a porre in un’evidente divisione la microscopia dell’essere uomini (chiusi nelle conseguenze delle nostre azioni) e la macroscopia del cemento di Hong Kong (che difende il fare di creature non più omologate come una busta di plastica, nel suo ingegnoso silenzio stupendamente artificiale), tratteggiando volti in dedali di luci e colori bluastri, come indelebili macchie sulle coscienze.
VOTO: 7/10
Regia: Wong Kar-wai
Fotografia: Christopher Doyle
Musica: Frankie Chan, Roel A. Garcia
Con: Leon Lai, Michelle Reis, Takeshi Kaneshiro, Charlie Yeung, Karen Mok
Hong Kong, 1995
Durata 91’
Titolo Originale: Duo luo tian shi