NOTTETEMPO – Francesco Prisco
Un autobus esce fuori dalla carreggiata, morte e disperazione si sollevano nell’aria in una coltre di fumo mentre una pattuglia della polizia si precipita sul posto. Un cabarettista recita stancamente le medesime battute da molti anni, cadendo nel gorgo del dimenticatoio e portandosi dietro un peso che non potrà dimenticare. Uno dei poliziotti accorsi sul luogo dell’incidente decide di tornare nel luogo dove ha abbandonato la propria famiglia, una superstite dell’incidente lo insegue innamorata, il cabarettista cerca vendetta nel medesimo luogo.
Un rincorrersi di vite che finisce nel peggiore dei modi, in una Bolzano anonima incapace di contenerne il dolore.
Francesco Prisco ha solo ventotto anni e si trova alla regia di un lavoro che non è in grado di gestire: troppe influenze, eccessivi innesti stilistici, necessità di associare enormi responsabilità al cast, fondamentale ricerca del particolare da cui astrarre la linfa vitale. Nottetempo non possiede le caratteristiche adatte sin dal plot, decisamente monco, poco coerente e per nulla incisivo nel raccontare mutamenti di umore, genesi di dolori e sfaccettature caratteriali in pochi sguardi e limitate situazioni.
In alcuni frangenti sembra che vi siano dei salti di sceneggiatura tali da confondere troppo le idee dello spettatore, che rimane prima sbigottito, poi irritato da un accavallarsi di situazioni apparentemente illogiche, capaci di divenire pesanti anche nella durata di ottanta minuti circa. Le idee ci sono, la cifra stilistica è ben lungi dall’essere raggiunta ma il tempo per sagomarla c’è. Per adesso solo delusione.