BRAZIL – Terry Gilliam
Un insetto si infila in una stampante causando la generazione di un errore che condanna un uomo, Mister Buttle, al posto del noto terrorista Tuttle (Robert De Niro). Scoperto l’errore, ormai è troppo tardi, e tocca ad un impiegato del Ministero dell’Informazione, Sam Lowry, sistemare l’errore cercando nel mentre di trovare la sua posizione in una società del futuro fortemente burocratizzato.
Difficilmente catalogabile se non come ensemble di fantascienza e fantasy votato al dogma del grottesco, Brazil disegna un futuro distopico ancor più segnato dal potere del controllo oggi visibile nella nostra società, caratterizzato dall’incompetenza di pochi che tirano le fila di molti, creando grovigli e sperando nella risoluzione da parte di altri, sfruttando il potere dell’ignoranza e la povertà di energia sotto la bandiera della ribellione.
Diretto da uno dei Monty Python, Terry Gilliam, il film ricongiunge echi di Orwell con distorsioni di kafkiana memoria, glorificate dalle musiche di Michael Kamen e dalle curate scenografie di Norman Garwood, in un dedalo visivo dal flavor teatrale. L’ironia (amara) aleggia costantemente grazie alle situazioni paradossali in cui è immerso il protagonista, Jonathan Pryce, sfilacciate grazie anche all’interpretazione di un Robert De Niro in gran forma e mitizzate nelle visioni di Sam, alle prese con samurai o uomini di pietra.
Brazil, sin dal titolo derivato dal motivo Aquarela do Brasil canticchiato dai personaggi che affollano il film, rappresenta un caloroso inno contro le “scartoffie” e chi le genera, un onirico e irriverente calcio alle piramidi di potere come solo Stanley Kubrick ne Il dottor Stranamore era riuscito a fare.