KIDNAPPED – Arie Posin
Troy è un bizzarro ragazzo, dedito alla divulgazione del sacro verbo della droga tra i teenager. Un ragazzo sicuramente disturbato, sofferente nella posizione raggiunta e capace di odiare la (propria) vita al punto da togliersela nella stanza di Dean Stiffle. Con la morte di Troy, Dean perde il suo unico amico, punto di riferimento.
Le voci corrono veloci e la leggenda (metropolitana?) di una scorta nascosta di droga fa gola ad un maldestro gruppo di ragazzi che decide di fare il colpaccio. Armato di buona volontà, il manipolo si scaglia sul fratellino di Troy, lo rapisce e fugge via veloce. Peccato che rapiscono il bambino sbagliato.
Periferia borghese americana contornata da alberelli curati, casette dai prati rasati, piscina e macchine rombanti percorrono vialetti in ghiaia. Un contesto tranquillo e benestante in grado di rassicurare ogni palato. Fiori e sorrisi di genitori … mentre i propri figli si accaparrano qualche pasticca di felicità dallo spacciatore di fiducia, mentre gli insegnanti continuano a sfregare gessetti sulla lavagna. Alla sua prima prova dietro la macchina da presa, Arie Posin delinea un background rigoglioso verde stridente con il grigio fumo che contorna le anime.
Kidnapped racconta un humus fertile di noia, tramite una (meta)struttura linguistica che, da un lato, si abbevera nel medesimo circondario immaginifico descritto nella provincia di Twin Peaks, dall’altro sfiora in maniera meno diretta gorghi sanguinolenti narrati da Bret Easton Ellis. Ne viene fuori un ritratto ironicamente amaro, sorretto da un cast in ottima forma (Jamie Bell, Glenn Close, Rory Culkin in primis), raccontato attraverso una panoramica corale, ancora in parte acerba ma già capace di suggerire guizzi creativi da parte del regista. Indipendente nella sua vastità di linguaggio.