ROBOCOP 3 – Fred Dekker
Delta City è il sogno della OCP, una multinazionale cieca ai bisogni veri della popolazione che dimora in una sempre più fatiscente Detroit. Un sogno composta da così tanti zeri da lasciar spadroneggiare un gruppo di paramilitari, muniti di carta bianca per sbattere gli abitanti fuori dalle proprie case, pur di avere lo spazio per costruire la nuova città. Un clima sempre più rovente che vede Robocop uscire dai ranghi per superare la linea di confine tra giustizia e obbedienza.
La morte della collega sarà da sprone per il robot-poliziotto, uno scombussolamento di circuiti e di emozioni, il desiderio di aggrapparsi alla propria umanità per lottare contro il crimine, di qualunque natura sia. L’OCP, vedendosi affrontata da un così temibile avversario, gli scatena contro dei (cyborg) samurai, apparentemente infallibili.
Che disastro. Uno svogliato Frank Miller ed un confuso Fred Dekker sceneggiano questo terzo capitolo della saga di Robocop con la mano sinistra, incapaci di decidere la strada da intraprendere dopo un energico iperviolento e cinico primo episodio (Robocop di Paul Verhoeven) ed un copia-carbone ma meno ispirato secondo capitolo (Robocop 2 di Irvin Kershner). Ecco in questo modo sbucar fuori elementi ironici poco degni dell’ambientazione e della cupezza del capostipite, balzi melodrammatici costruiti a tavolino per lasciar scorrere i minuti facendo prendere al robot coscienza di sé, momenti action male orchestrati e spruzzate di violenza gratuita quasi a voler stridere con quanto mostrato.
Si raggiungono apici auto-ironici (volontari? Non crediamo purtroppo … ) con l’aggiunta dei guerrieri giapponesi, utilizzati solo come “mostro finale” di un videogame non riuscito, e con il jet-pack installato sulla schiena di Robocop per farlo volare. Insomma, gli appigli sono pochi, i soldi gettati nell’inceneritore molti, ma lo scorrere dei minuti non può che lasciare un substrato di delusione, mentre si resta frastornati dall’onda d’urto di un prodotto che raggiunge il capitolo finale in modo poco glorioso.