NYMPHOMANIAC vol.1 – Lars Von Trier
“Perché lui può”. Ricordate bene queste tre semplici parole, perché ci salveranno. Faranno spesso capolino in queste righe e, in seguito, vi torneranno utili in tutte le discussioni che seguiranno alla visione del film-caso del duemilaquattordici. Nymphomaniac è il nuovo lungometraggio di Lars Von Trier (Dancer In The Dark, Antichrist), regista danese famoso per aver dato vita (insieme al connazionale Thomas Vinterberg) al movimento cinematografico Dogma 95, che professava un cinema scarno e volutamente “povero” di spettacolarizzazione audio/video ed averlo ben presto abbandonato in favore di film d’autore di tutt’altra fattura, anche un po’ megalomani. Ma lui può.
Che sia profeta o cialtrone, genio o provocatore, o magari un po’ di tutto, l’unico dato incontrovertibile è che Von Trier ha da tempo fatto proprio il detto “se ne parli bene o male, purché se ne parli”: dall’ermetismo dogmatico degli esordi all’esasperazione del film-scandalo a tutti i costi, passando per sperimentazioni, progetti totalitari e dichiarazioni affilate e provocatorie. Il profilo prototipico ed ulteriormente enfatizzato dell’Artista, giustificato spesso con quel “lui può” di cui sopra.
Nymphomaniac sembra così la quintessenza degli eccessi del suo autore, originariamente concepito come unico lavoro di cinque ore e mezza, successivamente tagliato in due capitoli e tagliuzzato significativamente dalla censura, l’odissea sessuale della ninfomane Joe (Charlotte Gainsbourg nel presente, Stacy Martin in gioventù) si apre nel primo dei suoi due atti con lunghe sequenze che riprendono vicoli e muri bagnati da una fitta pioggia. Sulle incattivite note dei Rammstein, nel primo di una lunga serie di stridenti immagini cinematografiche, Seligman (Stellan Skarsgard) trova Joe stordita, fradicia e priva di sensi a terra. Dopo averla portata al riparo nella sua buia abitazione, Seligman cerca di scoprire di più sulla donna; il torrenziale racconto che Joe imbastisce per svelarsi allo sconosciuto e per giustificare il suo definirsi “un orribile essere umano” è un viaggio che declina progressivamente il rapporto con il sesso. Joe è talvolta vittima, più spesso carnefice, il piacere e la necessità si abbracciano in un legame imprescindibile che non risparmia delusioni ed insicurezze.
Sono i momenti di una vita in cui le incontrollabili pulsioni sessuali liberano ed incatenano, appagano e trafiggono. In otto complessivi capitoli (5 in questo primo volume) Joe e il suo ascoltatore si conoscono, l’intimità crescente è un traguardo raggiunto insieme perché l’animo introspettivo e colto di Seligman è altrettanto conturbante e seducente, e finisce per affascinare la più giovane ospite. Cronologicamente torniamo alle tappe fondamentali e pittoresche della vita sessuale di Joe, che ha due facce: quella consumanta della Gainsbourg e quella graziosa ed esplorativa della Martin: la perdita della verginità, l’ossessione, la strumentalizzazione di chi la circonda e di se stessa, persino qualche sparuta concessione affettiva.
Ci si aspettava un boato scandaloso, Nymphomaniac vol.1 non lo è: è esplicito, psicoanalitico, popolare, ma non c’è nulla di estremo o scioccante nelle prime due ore del progettone di Von Trier. Anzi, talvolta le finestre aperte sono troppo dialogiche e macchinose e sopraffanno l’azione sciorinata nelle parentesi esplicite. Sarà che lui può, ma l’immunità del regista danese rischia di traballare un po’. E non basta una veste fotografica molto convincente a alleggerire il fardello, se poi le trovate grafiche disseminate (le scritte kitsch in sovraimpressione lasciamole al primo Tarantino!) stonano terribilmente. Come alcune delle situazioni ritratte, più autoreferenziali che sorprendenti. Il bilancio, va da sé, è parziale, ma l’attesa che ci separa dalla seconda metà di Nymphomaniac rischia di risentire della confusionaria apertura. Poca sostanza e troppe aspettative. E troppa paura di ammettere che a volte, anche Lui, non può.