LA LUNGA NOTTE DI VICTOR KOWALSKY – Stefano Poggioni
Viaggio nei meandri della follia, in questo eccellente mediometraggio diretto da Stefano Poggioni, La Lunga Notte di Victor Kowalsky. Realizzato per Essi Girano, interpretato nel ruolo del protagonista da un perfetto Cristiano Burgio, è una magistrale sincronia tra immagini e suoni, sceneggiatura e interpretazione. Il coinvolgimento e l’intrattenimento non verranno meno in ognuno dei 30 minuti del lavoro.
A metà tra l’horror e il thriller psicologico, il tema della mente in prigione, ostaggio di un corto circuito interiore, conduce Viktor nell’oblio di un ‘sogno’ dal quale non riesce a svegliarsi. La realtà è una terra bandita per l’Io che non riesce ad accordare se stesso e le proprie azioni, quando la mente è fragile e il male è inaccettabile. All’interno dell’opera ci sono tutti i temi cari alla malattia di genere cinematografica: la dissociazione, la persecuzione, l’ossessione, il narcisismo patologico. E l’angoscia della morte che prende il sopravvento sui pensieri di chi non riesce più a difendersi. Chi è Viktor Kowalsky? Il film si apre sulla deriva narcisista del protagonista: attacca la sigla di uno show televisivo con tutti i formalismi al punto giusto, il Viktor Kowalsky Show. Grafiche da Broadway e musiche anni ’80. La resa è ottima al punto che si rischia di venire tratti in inganno, ma la scena assume toni surreali quando in studio entra un Viktor a torso nudo e con i pantaloni del pigiama tra gli applausi del pubblico. Si intuisce subito che la trama è una sfida, la curiosità si alimenta. Il presentatore intervista l’ospite: “Lei sogna? Ci racconti il suo sogno ricorrente”.
Dopo aver pronunciato le prime parole, l’ambiente cambia radicalmente.Viktor non si trova più nello studio televisivo ma sui pixel di una televisione. Da soggetto a oggetto. Dalla ribalta la scena si sposta nella solitudine della sua stanza. Dal mondo spumeggiante e caleidoscopico dello show siamo catapultati in un luogo dai colori drenati al limite del monocromo.
Gli elementi della simbologia onirica, ciò che rende il lavoro interessante e gli dà sostegno, la fanno da padrone. Partendo dalla stanza stessa, grande e vuota. Nella traduzione simbolica della psicologia del profondo, è tradizionalmente associata all’interiorità. E la casa insieme allo scarno arredamento trasuda abbandono, incuria, trascuratezza. Le pareti sono scrostate e vi sono perfino infiltrazioni d’acqua. Cibo avariato e oggetti amputati sparsi lungo gli spazi. Il mondo animale sotterraneo prende il sopravvento. Sul pavimento, come fosse un oggetto simile ad altri, un casco da motociclista con la visiera rotta e asciutti rivoli di sangue. Il paesaggio è surreale, siamo sicuramente nella mente di Viktor, assistiamo al teatro dei suoi pensieri. O forse no. Su di un letto pregno di sudore, il nostro dorme. Sogna, si agita e si sveglia bruscamente.
Aprire gli occhi e non svegliarsi. Improvvisamente, da una porta dalla quale fatica ad entrare, irrompe nella scena il doppio di Viktor, avvolto in impermeabile scuro. Con una lunga e netta cicatrice lungo il lobo e lo zigomo, è la parte “malvagia”, frantumata del sé che Viktor non riesce ad integrare e non riconosce. “Chi sei? Che vuoi?” gli grida contro. Il doppio non si lascia mandare via. Viktor prova a tranquillizzarsi: “Siamo la stessa cosa”, si risponde. Infine l’uomo con l’impermeabile scuro gli si rivolge come si farebbe per tranquillizzare un complice: “[...] Ho pensato io a tutto”. Il Doppelgänger non è l’unica figura ad interagire con Viktor. Altre figure si aggiungeranno al mosaico, a svelare le ragioni del crollo psicologico. Nello scorrere dei fotogrammi, il protagonista ci conduce nel seminterrato, quindi ad un livello più profondo di coscienza …
L’opera è un eccellente esercizio di stile, con un’ottima recitazione e pochissimi cliché. Anche quando assistiamo a citazioni del cinema di genere, non c’è semplice riproposizione ma consapevolezza del risultato da raggiungere. La tensione rimane costante nel sapiente gioco tra attesa ed emozione, con alcuni momenti di brivido. Fondamentali per la riuscita del mediometraggio sono senza dubbio la bravura dei protagonisti, in particolare la prova di Burgio, che restituisce molto credibilmente il febbrile delirio di Viktor, e l’eccellente dialogo tra immagine e suono. Il risultato è un prodotto a cui non manca nulla in professionalità e capacità. La mancanza di un piano di appoggio della psiche di Viktor è reso ottimamente, così come emerge non una mente adattata al proprio dramma, ma una lotta disperata per la propria sopravvivenza.
La Lunga Notte di Victor Kowalsky confonde, disorienta, pur restando intatto il filo narrativo che ci condurrà a risolvere l’enigma. Più importante dell’enigma stesso, a riempire la scena è il dramma del personaggio, oscillante tra quiete e conflitto, privo di autenticità, con un io frammentato e disorganizzato. Lo stile espressivo si modifica sapientemente con il modificarsi dei momenti di Viktor, per questo ci si sente sempre compartecipanti. Le inquadrature prima distorcono e poi restituiscono simmetria. Il film si conclude laddove comincia, proprio quando crediamo che Viktor abbia concluso un viaggio di redenzione, alla fine del suo incubo …