BLASTFIGHTER – Lamberto Bava
Tiger Shark è un ex poliziotto rimasto dietro le sbarre in seguito ad un omicidio compiuto per vendetta. Ritornato nella sua città, l’uomo vorrebbe ritagliarsi il suo angolo di solitudine e tranquillità, ma l’imbattersi in un gruppo di spietati bracconieri non aiuta questo processo catartico, vedendolo ben presto in una fuga disperata con la ritrovata figlia, braccato da un manipolo di cacciatori che vogliono eliminare uno scomodo testimone.
Il 1982 era l’anno di Rambo, dove Sylvester Stallone impersona un ex marine inseguito da ignoranti poliziotti, il 1984 è l’anno di Blastfighter, diretto da Lamberto Bava con lo pseudonimo di John Old Jr, dove Michael Sopkiw impersona un ex poliziotto inseguito da ignoranti bracconieri. Dire parallelismo sarebbe riduttivo, siglare come plagio pure, Blastfighter rastrella tutto il rastrellabile dal film di Ted Kotcheff, innestando tratti tipici del cinema di genere italiano, per cui ‘sporcando’ con ancor più violenza esplicita le sequenze action.
Sorvolando sulla recitazione a tratti demenziali o su dialoghi alquanto improbabili (si prenda come esempio la scena della morte della figlia di Tiger Shark), il film di Bava arranca nella prima parte dove si vuole presentare il background dei personaggi, sforzandosi di donar loro un qualche spessore, accelerando bruscamente nell’ultimo frammento dove morte e distruzione irrompono per mano del protagonista, assetato di vendetta. Incredibile, ma tipicamente (italiano) eighties, il pretesto che fornisce a Tiger un prototipo di arma da guerra multifunzione per decimare gli inseguitori. Tra fumogeni, razzi e proiettili, Blastfighter diverte, lasciando stupefatti per la baraonda di corpi che saltano in aria insieme ai mezzi, sintomo di un modo di fare cinema ruspante e caciarone. Più dalle parti di Chuck Norris che di Stallone.