MIO CARO ASSASSINO – Tonino Valerii
Umberto Paradisi è un investigatore che viene decapitato da una scavatrice nei pressi di uno stagno. La storia della sua morte si ricollega ad un caso seguito diversi anni fa da Paradisi che vede il rapimento e l’uccisione della piccola Stefania e del padre. Il commissario Luca Peretti si trova a tentare di riallacciare le fila dei casi ma l’assassino, nel mentre, inizia ad eliminare le persone che avrebbero potuto aiutare il commissario.
Mio caro assassino fa suo l’insegnamento argentiano, lasciando convergere diversi elementi tipici del regista romano in un contesto legato ad alcuni stilemi del passato come la figura del commissario, il monolitico George Hilton, tutta d’un pezzo, impossibilitato a pensare alla propria vita privata per dedicarsi al caso. Il disegno di una bambina diviene rivelatore, mentre emergono intrecci familiari ricolmi di sentimenti di rivalsa, odio reciproco, interessi pruriginosi e silenzi mortali.
Tonino Valerii lascia correre il commissario tra diverse location, ognuna alla fine riportante verso la casa dove viene riunita la famiglia, in una sorta di ritratto di gruppo alla Agatha Christie dove Peretti si aggira puntando il dito via via da uno all’altro. La ricostruzione della terribile sorte di Stefania avviene mentre vengono accese sigarette, si incrociano sguardi e, lentamente, si arriva al twist. Mio caro assassino mantiene un buon ritmo, incalzando lo spettatore ma non incantando quello più smaliziato, capace di individuare l’assassino per alcuni evidenti motivi.