WRATH OF THE CROWS – Ivan Zuccon
Una maleodorante prigione racchiude corpi in attesa di vedere un fazzoletto legato alle sbarre. Una stoffa il cui colore ne decide il destino: la libertà pena sacrificio, la morte e l’ergastolo. Inutile dire come quest’ultimo sia il più temuto, una vita di agonia dove lo scorrere del tempo è percepito inesorabilmente lento. L’arrivo di Princess sembra inserire nuovi elementi di entropia, una donna che sembra capace di andare oltre le possibilità umane.
Un manipolo di persone, la paura del vicino, il timore costante di trovare il dito del fantomatico e impalpabile Judge che indica il proprio collo … una morte somministrata nel più atroce dei modi.
Prodotto da Zack Ewans e dallo Studio Interzona, il nuovo film di Ivan Zuccon assume sempre maggiormente quel sapore internazionale già fortemente cercato (e più che sfiorato) nel precedente Colour from the dark. Un aspetto dai risvolti sicuramente positivi ma che, al contempo, pone il regista su un piano diverso, divenendo oggetto di confronto con prodotti di più ampio respiro. E di questo Zuccon è cosciente, per cui innanzitutto si fa circondare da un cast internazionale (Tiffany Shepis e Debbie Rochon come icone underground, Domiziano Arcangeli ormai onnipresente in una quantità infinita di pellicole indipendenti e, come chicca, la screaming queen Suzi Lorraine), poi racconta una storia senza renderla prerogativa dello splatter.
Zuccon decide, per la prima volta, di abbandonare la musa H.P. Lovecraft e basarsi su un racconto scritto da Gerardo Di Filippo, sostituendo il terrore ancestrale, proveniente da una dimensione oscura, con uno (ultra)terreno, votato all’espiazione dei propri mali. Errori commessi in vita da pagare prima di proseguire con il proprio viaggio, flashback narranti il passato dei carcerati per legarne l’orrore tutto umano ad un luogo. Una lurida prigione, ricolma di sangue e follia, dove la morte non può che essere anelato epilogo di una condanna già scritta.
I pregi di Wrath of the crows risiedono in un’azione continua, che lascia viva l’attenzione dall’inizio alla fine, nelle performance di un cast capace e volenteroso, in una violenza sorda e vivida contemporaneamente “vincolata dal” e “vincolante al” plot. Notevoli anche il giogo claustrofobico creato dagli ambienti chiusi e dal buio costante tagliato da lame di luce. I difetti cadono in una trama alquanto prevedibile (il twist finale, in realtà, non stupisce), nella mancanza di una linea costante di tensione pulsante e in alcune scelte tipiche da B-movie (il personaggio di Tiffany Shepis agghindato a prostituta di bassa lega, alcuni dialoghi improponibili, un digitale troppo evidente) stridenti con una maggiore ricerca cinematografica, come quella portata avanti da Zuccon. Un minor ricorso allo splatter, l’incremento del tasso di tensione dovuto alla situazione (vedi Colour from the dark) e l’approfondimento psicologico (un ulteriore passo rispetto a Wrath of the crows), elementi singolarmente esplorati dal regista, possono essere la chiave di volta per i prossimi lavori.
Wrath of the crows rappresenta una scommessa vinta dal nostrano Zuccon, un regista (fortunatamente) incapace di perdersi d’animo, capace di gettarsi a capofitto in avventure transoceaniche venendo riconosciuto a livello internazionale. Il suo film lo getta ancor più nell’olimpo dei registi indipendenti capaci di furoreggiare nei festival ed aver un buon riscontro, specialmente a livello di circuito dvd. Un’avventura iniziata con dedizione diversi anni fa che, finalmente, spinge Ivan Zuccon sotto la giusta luce.
Ciao Ivan. Questa è una critica positiva che da il giusto valore delle tue opere. Il cammino è aperto a futuri impegni sempre più importanti nel mondo dell’ORROR. Anche il Gazzettino che ho letto ieri è stato positivo. Ora un po di relax e poi, si riparte alla grande; ma credo che tu non ti sia fermato un momento. Un abbraccio Bruno