P.O.E. 2: Project Of Evil – Aa.Vv.
P.O.E., un acronimo che vuole richiamare il multiforme autore bostoniano, un progetto che si macchia delle sue storie, dei suoi sogni, per triturarli fuori attraverso il tubo catodico. P.O.E. 2: Project of evil, una raccolta corale di sensazioni e visioni, curate dai nomi che maggiormente furoreggiano nell’underground italiano, capitanati dalla sirena Domiziano Cristopharo.
Il lavoro si articola attraverso sette capitoli, ognuno slegato dall’altro e senza alcun artificio di montaggio o presentatore di sorta (ricordiamo il caro vecchio Zio Tibia) come collante, evidenziando immediatamente come non si voglia omaggiare esplicitamente gli horror antologici ottantiani (Creepshow su tutti) ma, anzi, narrare storie dal taglio (visivo) moderno.
Un uomo, una stanza bianca, la costante presenza di luce e l’angoscia. Sentimenti che vedono l’internato schiacciarlo nonostante l’immobilità del tempo. Improvvisamente il pavimento si dilata lasciando intravedere una profonda voragine, un baratro nero e angosciante (richiamante memorie lovecraftiane) ed una creatura che avanza da esso … Il pozzo e il pendolo, diretto da Donatello Della Pepa (Versipellis, Moebius), fa da apripista, sdoganando immediatamente qualsiasi atmosfera retrò e costruendo un crescente senso di claustrofobia in un contesto asettico. Buona la prova d’attore, ricreato adeguatamente quel feeling di solitudine cosmica che pone l’uomo di fronte alla propria rovina presente nello scritto di Poe, pessima la cgi nel finale che tende a svilire i pregi dell’intero lavoro.
Una donna bloccata su un lettino, urla soffocate e un dito che le viene amputato. Un uomo legato ad una sedia intento a discutere animatamente con il suo (presunto) aguzzino, un dipendente della (presunta) vittima. Angelo e Giuseppe Capasso si cimentano in Solo, poesia fortemente autobiografica di Poe qui elaborata come forte dissidio interiore, perdendo la componente del ricordo e focalizzandosi sul presente. Purtroppo questo è il primo passo falso del lotto, e il primo in assoluto per i Capasso, solitamente autori originali e bizzarri. Il peso poggiato sulle spalle degli attori è eccessivo, lasciando emergere dialoghi ed enfasi fuori luogo e cadendo sotto i colpi di un finale alquanto scontato. Buoni gli effetti speciali.
Manero è un signorotto locale, molto molto pericoloso. Francesco è un pornostar tronfio e incapace di fare un passo indietro quando è necessario. È una giornata no quella di Francesco. Prima, durante una performance hard, rimane in affanno non riuscendo a respirare, poi si trova in compagnia di due scagnozzi del molesto Manero. E son guai. Perdita di fiato, diretto dal buon Edo Tagliavini, gioca una carta ancora diversa dai precedenti, servendosi del contesto grottesco e del bianco e nero (con poche virate verso il colore) per riproporre il black humor di uno dei primi racconti dello scrittore. Se, da questo punto di vista, il segmento di Tagliavini non può che essere perfettamente riuscito, dall’altro, nel contesto di P.O.E. 2: Project of evil, risulta troppo distante, anche per la scelta della posizione in scaletta (che spezza troppo presto il ritmo).
Due donne, un enorme animale dalle sembianze di uno scimpanzé. Una violenza sessuale perpetrata dalla bestia e le prostitute che pagano una sorta di dazio per i loro “peccati”. De I delitti della Rue Morgue abbiamo parlato abbondantemente qui, segnalando il coraggio di osare del regista (Alberto Viavattene), sia in sede di sceneggiatura (curata a quattro mani con Emiliano Ranzani) che in sede di (ri)lettura sensoriale del racconto. Uno degli episodi migliori.
Uno dei ghetti più infestati al mondo, dove la povertà non viene (solo) racchiusa in baraccopoli ai confini delle città ma che vive negli angoli delle città stesse. India, un uomo si risolleva dalla sua misera posizione cercando di avere un aspetto presentabile di fronte al suo dio, iniziando con una rasatura e continuando con una sorta di cammino della redenzione. Il metaforico Il cuore rivelatore di Nathan Nicholovitch tende ad accompagnare lo spettatore attraverso un percorso iniziatico privo di parole, descritto solo e soltanto attraverso l’immagine e, quindi, l’occhio. Il viaggio psichedelico procede lentamente, irrorando un certo disturbo, lasciando chi si è spogliato di tutti i sensi tranne la vista con un ricordo di sporcizia che non si abbandona dopo pochi minuti. La difficoltà di decrittazione e la lontananza estrema dai colori normalmente associati a Poe, tuttavia, lasciano l’amaro in bocca. Sperimentale.
Albania, 1977. Una clinica psichiatrica vede bussare alla propria porta Edgar Allan Poe. L’uomo che gli apre lo trascina verso una comoda sedia, iniziando un vivace dialogo inframmezzate dalle urla degli altri pazienti. Le visioni iniziano a confondersi con la realtà, i corpi si rannicchiano in strane posizioni e assumono una valenza ambigua, proprio come la conversazione tra i due uomini. Specialmente se sospinti nel chiacchierio da una buona sorsata di amontillado. Il sistema del Dottor Catrame e del Professor Piuma risuona in tutta la sua bizzarria nelle mani di Domiziano Cristopharo che ne riprende i toni grotteschi, dischiude l’excursus nella mente in un bianco e nero livido e sfrutta una location stimolante. Cristopharo sembra utilizzare con lo spettatore il “metodo della dolcezza”, raccontato dal direttore della clinica a Poe, lasciandolo sedere nella stessa tavolata che accoglie pazienti e dottori, riempiendolo di piume e facendolo svolazzare per i lunghi corridoi. Volontariamente irreale e onirico, uno degli episodi migliori del progetto.
Un accendino per rischiarare il buio profondo di uno spazio angusto. Una foto come ultimo appiglio al genere umano, una donna capace di evocare ricordi su ricordi. Dei rumori provenienti dall’esterno sembrano aprire uno spiraglio, gettare un’ancora di salvezza … mentre si trova rinchiuso in una bara. Banale solo all’apparenza, La sepoltura prematura di Giuliano Giacomelli rappresenta il momento migliore del film, riuscendo ad essere originale quando lo spettatore sta già sbadigliando e invocando il tasto skip per evitare il clone di Buried (o di Kill Bill vol. 2), scorrendo via fulmineo anche su un tema abusato come quello della tafofobia. Non solo racchiude atmosfere care agli horror di un trentennio fa, ma ne rievoca anche le musiche (a cura di Enrico Angelini), risuonanti echi frizziani.
P.O.E. 2: Project of evil scricchiola sotto il peso dell’omogeneità, subendo l’approdo di troppe mani dal gusto differente. Decisamente più avanguardistico rispetto al precedente capitolo, il film si snoda tra variazioni grottesche (Edo Tagliavini, Domiziano Cristopharo), fredde cadute nella follia (Donatello Della Pepa, Alberto Viavattene), strizzate d’occhio agli eighties (Giuliano Giacomelli), sperimentazioni ardite (Nathan Nicholovitch) e horror pop (Angelo e Giuseppe Capasso). Un miscuglio che, inoltre, si allontana dal mood profuso da Poe perdendone la forza onirica e l’inguaribile claustrofobia. Chi ama il cinema più sperimentale può avvicinarsi senza la medesima cautela degli altri (e contare un punto in più).