NON APRITE QUELLA PORTA 3D – John Luessenhop
Dopo tre seguiti senza pretese, un innocuo prequel ed un buon remake del 2003, diretto da Marcus Nispel, la motosega arrugginita di Leatherface torna a rombare: a quarant’anni dalla prima terrificante volta (1974, grazie alla regia di Tobe Hooper) il franchise Texano prosegue e si concede alla tecnologia tridimensionale, regalando ai fans la diretta continuazione del distorto capolavoro capostipite.
Per chi si fosse perso le puntate precedenti (male!), fulcro della vicenda erano le gesta omicida e cannibalistiche della famiglia Sawyer, capitanata dall’iconico e gigantesco Faccia Di Cuoio, bambinone macellaio con ritardo mentale e il volto coperto da una maschera fatta con pelle umana. La rocambolesca e disperata fuga dell’ultima delle sue vittime è il sipario sul film di Hooper e anche l’affascinante incipit di Non Aprite Quella Porta 3D: il restaurato atto finale della pellicola del ’74 sfocia nell’inedito seguito, col massacro della perversa famiglia Sawyer per mano (ed armi) dell’inferocita ed indignata comunità locale. Ma qualcosa o qualcuno sopravvive all’agguato e, molti anni dopo, getta le basi per ricostruire la famigliola.
Heather (Alexandra Daddario, Percy Jackson E Gli Dei Dell’Olimpo: Il Ladro Di Fulmini) è una bella ragazza, vive distante dalla verità sulla sua infanzia così come vive lontano dal Texas, stato nel quale dovrà recarsi (con i proverbiali ottusi amichetti sacrificabili) per ereditare un’antica e sfarzosa villa di famiglia. Con essa, Heather riceverà anche il fardello di un passato tenutole nascosto, fatto di misteriosi ed inquietanti legami di sangue. E sangue sarà.
Sotto la direzione del signor John Luessenhop (Takers) si allunga la tradizione di Leatherface e famiglia con una narrazione che, sulle prime, confonde le acque e tiene viva l’attenzione con qualche diversivo prima del main dish con la maschera di pelle, ma che crolla miseramente appena deve sferrare i colpi decisivi allo stomaco. Incredibile a dirsi, neppure l’entrata in scena di Leatherface e della sua micidiale arma ravviva il film. L’irruzione di uno dei più grandi simboli del cinema horror risulta sottotono, dietro l’inquietante maschera sembra egli stesso voler smentire la necessità di un così poco incisivo ritorno. Le carni innocenti vengono dilaniate come da tradizione, sì, ma sia sul piano visivo che su quello uditivo (cruciale nel logoramento nervoso operato da Hooper) l’effetto è evanescente ed i flebili acuti sanguinolenti si perdono nelle pieghe di una sceneggiatura usa e getta. La naturale conseguenza è un innocuo slasher che può appagare solo il neofita o il fan accecato della saga, due estremi di un continuum nel cui mezzo c’è chi del film, sicuramente, non se ne farà nulla.
Il timido tentativo di sovvertire le logiche del dualismo good vs evil (magistralmente operato altrove, come ne La Casa Del Diavolo di Rob Zombie) è un guizzo ambizioso ma malriuscito e fuori luogo. Per il resto, la struttura del sottogenere viene rispettata alla lettera, tanto che ogni presunto twist viene subodorato minuti e inquadrature prima, mentre le teste degli anonimi protagonisti cadono senza scossoni e senza nemmeno le sguaiate distrazioni da popcorn movie.
Col sovrapprezzo di un 3D che non ripaga e la suspense centellinata, Non Aprite Quella Porta 3D risulta un tributo insufficiente e asfittico rispetto a quanto di maestoso fatto da Hooper o di decoroso elaborato da Nispel, con l’amaro sapore in bocca lasciato a fine visione che sancisce il senso di trascurabilità dell’operazione. Pessimo episodio di una saga su cui, probabilmente, la speculazione non si fermerà qui.