964 PINOCCHIO – Shozin Fukui
Pinocchio 964 narra di un sexandroide che è stato progettato per soddisfare le voglie erotiche di signore benestanti ma che, date le scarse prestazioni, viene abbandonato. Girovagando per il Giappone, Pinocchio trova Himiko, una ragazza che ha perso la memoria e che nasconde un segreto tremendo. Nel frattempo coloro che hanno progettato l’androide decidono di cercarlo per eliminarlo ma non sanno che l’automa, educato da Himiko, inizia a familiarizzare con i sentimenti umani e adesso desidera vendetta.
Shozin Fukui, nella sua produzione, è stato spesso paragonato allo Tsukamoto di Tetsuo e, in diverse occasioni, è stato definito un manierista di quest’ultimo, se non un clone: non è proprio così. In 964 Pinocchio si riconosce non solo un’opera cyberpunk, dove l’eredità è riconducibile al maestro Sogo Ishii, ma anche a quell’insegnamento artistico-culturale che sicuramente ha lasciato il lavoro del gruppo Gutai. Non dimenticando la forte matrice situazionista che forse è la vera prerogativa della pellicola, Fukui ha partorito un prodotto di grande carattere, altrettanto importante nel panorama underground nipponico.
L’esibizione, che dilaga in uno spazio urbano tanto grande da provocare stupore e curiosità se non disagio nella miriade di passanti che ne fanno parte, è la vera essenza di questo détournement, i primi spettatori inconsapevolmente figuranti di questa avventura metropolitana. Pinocchio è un esperimento genetico mal riuscito, una limitazione inorganica concepita in laboratorio, un’insoddisfazione fallimentare improponibile per chi ha pagato.
Programmato per dare piacere, il personaggio non fa altro che mettere a nudo la deludente condizione dell’uomo e la povera comicità dei suoi consumi. Geppetto non esiste più, il caloroso padre dalle movenze romantiche e malinconiche viene sostituito da una balena grande e potente quanto una multinazionale in un sistema riproduttivo crudele e scellerato. Arrivando ai neuroni e ingerendo ogni contributo autonomo e percettivo dell’essere, divora anche se stesso fino allo stadio automa di una carne che sente indiscriminante. L’istinto consuma l’istinto il quale ,quando fallisce inesorabilmente, perde il controllo di quel burattino fabbricato in serie, e dà prova che il paragone con l’uomo non regge perché è un prodotto della propria stoltezza, da sempre degenerativa.
Shozin Fukui ci mostra una realtà palesemente addormentata, dove l’unica reazione è il fastidio che Pinocchio e Himiko, la sua Fata Turchina, provocano nelle loro performance spiazzanti. Basti pensare a quando Onn Chan (Himiko) inizia a gridare tra la folla della metropolitana creando panico e, tra l’ipocrisia dei passanti, si perde poi in una crisi di vomito che diventa un vero e proprio effetto feedback. Pinocchio, ritrae il flusso andante di una generazione contemporanea sempre più idiota che si moltiplica artificialmente, non per supporto della tecnologia ma per facoltà di consumo. Quando il piacere è un bene permesso soltanto per contratto aziendale non può essere passionale, ma sempre artificiale. Senza passioni e senza quelle misure naturali che di certo ci danno anche dei limiti, non sentiremmo mai quell’originalità d’espressione che tanto ci contraddistingue. E degenerando nella soddisfazione personale non potremmo essere altro che il surrogato di un falso ideale.
Il Pinocchio di Fukui è una pietra miliare del cinema indipendente made in japan, un grande esempio. Un sistema sim-stim dove la vittima non è solo il protagonista ma anche noi che, da qualificati inservienti del piacere, rispettiamo soltanto chi ci dà fama e capriccio. La sua lunga corsa e la sua consapevolezza intellettiva illuminano quel tunnel dove l’individuo, che non è altro che un figurante, cerca di capirne il senso ma la massa è troppo grande. Così Fukui con il suo cyborg di zuppa e pan bagnato, in una corsa senza tempo, tenta di uscire affrontando la sconfinata folla di Tokyo.
Pinocchio è un’opera di grande coraggio, un viaggio metafisico e fatiscente di un artista senza inibizioni dove l’alienante malumore “raccontato”, anche con una vena divertente, fa convergere in un solo status: cinema, video-art, videoclip e performance. In un’alternanza di colori e rumori campionati con grande abilità dove, il suo fare altro impartisce una lezione di cui oggi il nostro miope panorama ne è tristemente asciutto.
Curiosità
Si narra che il regista girò le sale cinematografiche presentando la pellicola come un’istallazione, montando casse gigantesche per far riverberare i bassi. Si racconta anche che Fukui abbia collaborato alla produzione di Tetsuo.