47 RONIN – Carl Rinsch
Gaippone feudale. Asano Naganori è un signorotto che accoglie sotto la sua ala protettrice il giovanissimo Kai (Keenu Reeves), mezzosangue trovato in mezzo alla foresta e dalla poco chiara provenienza. Passano gli anni e Kai fatica sempre ad integrarsi con il gruppo, finché gli eventi costringono al suicidio lo stesso Asano e la nascita di un manipoli di guerrieri, i 47 ronin appunto, per vendicarlo.
Basato su eventi realmente accaduti nel Giappone del diciottesimo secolo, il film di Carl Rinsch intraprende immediatamente una deriva fantasy che si stacca da qualsiasi approfondimento psicologico o, almeno, elogio dell’onore non plasticoso come questo. 47 Ronin abbandona ogni vezzo di violenza o cupezza e, d’altra parte, non possiede le carte in tavola per inserirsi all’interno di un filone fantasy multistrato (Il signore degli anelli docet) e multifamiglia, ancorandosi intorno ad una forma poco malleabile che difficilmente può avere appeal, di qualsiasi genere o età si parli.
Inutile citare I 7 samurai di Akira Kurosawa o, il più recente, 13 Assassini di Takashi Miike, 47 Ronin spazza via addirittura la presentazione dei ronin, centrando l’attenzione su un asettico Keenu Reeves incapace di reggere da solo tutta l’azione, viola qualsiasi elemento tradizionale giapponese e sforna l’ennesimo action hollywoodiano dalle (troppo) alte pretese. Se a questo si aggiunge una pessima computer grafica, una scarsa caratterizzazione dei demoni e la banalità dell’evoluzione del plot, il piatto indigesto è servito. Da evitare, sperando in una ripresa di carriera anche di Keenu Reeves, sottotono anche nel precedente Man of Tai-chi.