127 ORE – Danny Boyle
Aron Ralston è un giovane amante della libertà e del biking/trekking, che si concede una giornata solitaria nel Blue John Canyon dello Utah. Tra sole accecante, bella musica e splendidi paesaggi, incontra due ragazze e decide di fargli da guida. Condivide con loro parte della giornata tra tuffi e risate, fino al momento dei saluti. Le ragazze invitano Aron ad una festa che si sarebbe tenuta in serata e proseguono per la loro strada.
Aron continua la sua escursione in solitaria ma, mentre attraversa una gola stretta, smuove una vecchia roccia e precipita, trovandosi con il braccio incastrato. Da qui iniziano le 127 ore del titolo, 5 giorni in cui il protagonista rimane immobilizzato, solo, con pochissima acqua e cibo.
Danny Boyle avrebbe potuto dirigere il film come un resoconto della disavventura di Alan, dei suoi tentativi di liberazione dalla prigione, ma il regista vuole portare altro. 127 ore si rivela un viaggio interiore, perso tra ricordi, paure e speranze. Aron ha il tempo di pentirsi della solitudine autoimposta e per questo registra più filmati in cui chiede scusa a parenti e persone amate. Se solo avesse risposto al telefono si fosse reso più disponibile …
Il ricordo di una ex e della famiglia tornano spesso alla mente, mostrano determinate scelte sotto una luce diversa, alle volte allucinata, come se anche lo spettatore fosse in preda alla sete. “Quel masso mi ha atteso tutta la vita” diventa frase emblematica che ingloba uno dei moment maggiormente riflessivi. Certo di morire incide il suo nome sulla pietra, come epitaffio, ma al contempo la scuote pensando ad un figlio non ancora nato, alle occasioni non ancora vissute, ai momenti di vita che devono essere vissuti.
Il protagonista, James Franco, si rivela talentuoso, ingabbiato lui stesso fisicamente e mentalmente, capace di (far) rivivere la situazione realmente accaduta all’alpinista statunitense Aron Ralston tra le montagne dello Utah. 127 Ore, finale didascalico a parte, risulta ben diretto e montato, con un Boyle (Trainspotting, 28 giorni dopo, The Millionaire) in grado di creare movimento anche in una situazione di estrema staticità, grazie alle particolari soggettive e ai raddoppi di formato.